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mercoledì 18 Giugno 2025
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AMMINISTRAZIONE GRECO: DIETRO LE QUINTE LA FINE DI UN SOGNO (O DI UN INCUBO?)

di Emanuele Bracone

TERMOLI. L’amministrazione comunale di centrosinistra è prossima al capolinea. Non sappiamo quanto questo possa significare l’interruzione traumatica di una esperienza di governo locale, ma certamente come la prima fase di una difficile coesistenza tanto eterogenea quanto una coabitazione non più sopportabile sotto molteplici aspetti siano consumate irrimediabilmente. Una constatazione, piuttosto che un giudizio di rango politico.

Quando persistono due blocchi contrapposti, il cui confronto da mesi impedisce un’azione amministrativa degna di questo nome, è giusto e sacrosanto creare un corto circuito, dalle cui beceri ripartire, se possibile, con rinnovato slancio e vigore, altrimenti, altrettanto giudizioso appare rimettere il mandato nelle mani degli elettori, sicuramente capaci di assegnare un valore di merito a quanto accaduto.

Mai nella storia della politica termolese si era assistito a un tale concentrato di odio tra chi venne eletto solo un anno e mezzo fa per cambiare radicalmente la geografia (e la storia) di questa città.

Le dichiarazioni d’intento, il programma elettorale condiviso, la propaganda e i proclami a vittoria incamerata, avrebbero lasciato presagire, con il beneficio d’inventario tipico di chi va ad amministrare per la prima volta la cosa pubblica, davvero una rivoluzione copernicana nella gestione del Comune e della comunità.

Termini come trasparenza, rinnovamento (mutuati dagli epocali slogan di Gorbaciov di un ventennio fa, perestrojka e glasnost), legalità e discontinuità sono stati il verbo di un vangelo affidato a un profeta, il sindaco Vincenzo Greco, dimostratosi incapace di reggere il dialogo con le varie anime di una coalizione frastagliata quanto le bianche scogliere di Dover.

E’ vero riconoscere al Notaio proprio l’incarnazione di una figura lontana dalla classica mediazione partitica, non è stato prescelto per assumere le sembianze di un temporeggiatore, ma questo i suoi mandatari e i partiti che lo hanno indicato all’elettorato cittadino avrebbero dovuto tenerlo in debita considerazione, non scoprirlo ora.

Aver messo in piedi una squadra di governo che penda quotidianamente dalle sue labbra e dalla cerchia consulenziale, di cui non discutiamo pedigree, competenze e capacità d’agire, ha significato, sostanziato il tentativo di un esecutivo forte, un’amministrazione decisionista che, per velocizzare i passaggi burocratici, necessitasse anche di calpestare quelle dignità istituzionalmente riconosciute come il consiglio comunale, le commissioni e l’opposizione. 

Quanto di più lontano possibile, anni luce, da quella logica di partecipazione e alta democrazia millantata in campagna elettorale e nei primi vagiti della nuova amministrazione.

Storture, queste, emerse sin da subito con le prime assunzioni di responsabilità promulgate dal primo cittadino: nomina del vice sindaco, attribuzioni delle deleghe, il sottogoverno e la rappresentanza al Consorzio industriale.

Nel rapporto con la comunità adriatica, al di là di percentuali bulgare – sul monte complessivo degli atti promossi – di delibere e provvedimenti legali che hanno innalzato a vette tibetane il livello di contenzioso e di conflittualità, riforme più o meno drastiche rimaste al palo, emerge l’incomunicabilità di una compagine che non ha compreso come la discontinuità la si esercita non a 360 gradi, ma confrontandosi quotidianamente con gli attori protagonisti della società.

Non si amministrano gli immobili o le aree fabbricabili, strade e piazze, il suolo pubblico e gli arenili, ma ci si interfaccia con residenti, automobilisti e pendolari, commercianti e operatori economici.

Di questo occorre prendere atto, non del fallimento globale di un rapporto di coalizione irrimediabilmente compromesso. Dall’approvazione del documento urbanistico in poi la maggioranza non è stata più tale, pensiamo solo al voto sulla sessione autunnale di bilancio messo in cassaforte solo grazie a un impegno scritto sull’azzeramento della giunta e di tutti gli incarichi. Il governo Greco è rimasto in sella solo perché venne promesso a chi non lo avrebbe più sostenuto che ottenuto il disco verde sul consuntivo e sul riequilibrio si sarebbe effettuato quel reset, il colpo di spugna indispensabile per far ripartire la macchina.

Sotterfugi, aspettative mancate, furberie, false promesse e accordi rimangiati. Non sono queste le basi per una volta epocale.

Concludendo, se al divampare del sacro fuoco della polemica che da sempre alimenta il falò della politica si aggiunge benzina sul fuoco, come è accaduto ieri tra l’Italia dei Valori nei confronti di uno già scettico Partito democratico, vuol dire che l’epilogo è atteso davvero da tutti come la fine di un incubo, oltre che di un sogno.