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giovedì 5 Giugno 2025
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Dieci mesi di carcere e ora a casa, l’odissea di Pietro Raffaele Valente

TERMOLI. Dal 14 luglio 2014 a ieri, 18 maggio 2015. Oggi per Pietro Raffaele Valente è un nuovo giorno, in tutti i sensi. Dopo aver trascorso oltre dieci mesi in carcere prima a Larino e quindi a Roma, nel penitenziario di Rebibbia, per il 70enne imprenditore termolese è arrivato il momento di tornare a casa. I giudici del collegio giudicante che lo stanno processando insieme ad altre 4 persone per l’accusa di tentato riciclaggio di capitali hanno affievolito la misura cautelare e hanno disposto gli arresti domiciliari.

Valente fu arrestato nell’estate scorsa dal Ros de ‘L’Aquila’ e dal Noe.
Indagato da tre anni come prestanome di Massimiliano Ciancimino, figlio del boss ed ex sindaco del capoluogo siciliano Vito, che ebbe un soggiorno obbligato nella vicina Rotello, Valente secondo la Procura di Roma era il titolare di quote significative della società romena in cui venne investito quasi interamente il tesoro della famiglia Ciancimino, che ammontava a 115 milioni di euro. Un investimento operato in Romania, finanziato da attività illecite.
Le indagini sul versante dell’ecomafia erano partite addirittura nel 2007, quando don Vito era ancora vivo, approfondite per mano del gip Piergiorgio Morosini due anni fa, quando anche l’abitazione di Valente venne perquisita dalla polizia giudiziaria.
Valente ha proclamato lo sciopero della fame nell’agosto scorso ed è difeso dagli avvocati Joe Mileti e Antonio Ingroia, sì, proprio l’ex magistrato. Trasferito a Roma dove è iniziato il processo a carico dei cinque, lui compreso, accusati di aver tentato il riciclaggio di denaro sporco e proprio l’esito di alcune deposizioni avrebbe indotto il tribunale di Roma a decidere di ammansire la carcerazione preventiva.