LARINO. L’andamento demografico del Molise fa paura. Fabrizio Nocera, ricercatore dell’Unimol, ha mostrato come la regione stia perdendo abitanti, al punto da potere ipotizzare tranquillamnte un territorio di 260mila unità di qui a dieci anni. Eppure eravamo partiti da 400mila anime (inizio ‘900), per scendere alle 330mila (fine Anni ’60). Negli ultimi 20 anni la popolazione ha ripreso la strada dell’emigrazione (giovanile); ed il fenomeno non si arresta, producendo non pochi problemi di natura sociale. Lo stesso capoluogo regionale è sceso sotto i 50mila ab.; Larino, che s’avviava a rasentare i 9mila, è calata a 6.500 ed i comuni-polvere sono lievitati a dismisura. Insomma, in Molise, lo stato di emergenza demografica (e politica) esiste da tempo; e si tratta di guai che vengono da lontano, originatisi con la formale tripartizione tra Termoli, Campobasso ed Isernia che ha fatto il vuoto alle spalle di questi tre centri, rendendo “polvere” (ancora più di quanto già non fossero) 90 Paesi su di un totale di 130. Ad atteggiare il territorio furono i “grandi vecchi” della politica locale che però, almeno, per il resto, la testa sulle spalle ce l’avevano. Poi, quando quest’accessorio finì col declinare (nei loro successori, ed ai politici ebbero a sostituirsi i politicanti), la situazione è andata sempre più giù.
Chissà se la pubblica opinione s’è mai resa conto che l’attuale cosiddetta “classe dirigente” (ma, forse, sarebbe meglio chiamarla “digerente”) prevede solo di “ruminare” sulle aspirazioni della gente. Dalla fine del 2002 (l’anno del sima), l’intera regione ha visto affluire immense risorse per una ricostruzione che, nelle zone terremotate, non ha ricostruito alcunché. Ha semplicemente permesso a “lor Signori” di incistarsi in posizioni di rilievo mentre per la gente “’a nuttata nun passa”. La Sorte ha voluto che i Molisani non fossero capaci di confessare a sé stessi che il nostro problema è rappresentato da un glòmero difficile da districare. Pur essendo diventati una regione della decadenza, ci siamo convinti che non potremo permanere in eterno in una tale condizione. Cosicché confidiamo ognora di transitare dal participio presente a quello passato e speriamo (ad ogni tornata elettorale) che il decadimento non abbia a consolidarsi in una caduta “che mai non resta”.
Purtroppo il fatto certo è che il Molise è precipitato in uno spazio-tempo infinito, collocandosi in una definitiva profondità siderale da cui qualcuno vorrebbe emergere mediante inglobamenti alla Daunia, al Sannio od all’Abruzzo. Finiamo sempre più giù; e, mentre cadiamo, ci avvediamo che, d’intorno a noi, certi personaggetti sono riusciti a disegnare traiettorie di segno contrario, costruendo – per sé e per i propri familiari – ascese formidabili comunque partite da un punto situato più in basso rispetto a quello in cui ci trovavamo noi un attimo prima. Ma, mentre continuiamo a decadere, baloccandoci nella finta politica dei dilettanti allo sbaraglio (anzi – diciamolo pure – dei dilettanti col raglio), inseguendo fiere, feste, mercati, farina e forca, evitiamo di difendere, con la forza, le nostre risorse di sempre e ce ne inventiamo di presunte, ricostruendo – con soldi pubblici – una scuola materna in Paesi dove i bambini non nascono più. Qualcuno ci fa sognare, almeno per un momento, inventandosi “fabbriche” politiche senza idee; e maturiamo l’illusione che la corsa stia decelerando. Invece, invariabilmente, la decadenza riparte, lenta ma pur sempre inesorabile E, ad un certo punto, abbiamo l’impressione che, in fondo in fondo, di questa nostra caduta a “lor signori” non importi alcunché. Forse siamo troppo lontani per essere scorti dalla classe politica dominante; o forse sono stati loro ad essersi collocati lungi da noi al punto da permettersi di “fingere” che non siamo mai esistiti. “Che m’importa del mondo …”, cantava la Pavone.
E pure a loro interessa soltanto vivere al meglio, col cadreghino e con l’indennità; e la loro canzone oramai è diventata un’altra:“E sempre sia lodato quel fesso che ha votato”.
Claudio de Luca