LARINO. La “memoria” di ciò che è stato coinvolge anche il Molise che, negli anni tristi dal 1940 al 1943, ospitò addirittura due campi tutti al femminile: uno a Casacalenda ed un altro a Vinchiaturo. Qui le ospiti erano libere solo di passeggiare per qualche ora all’aperto, percorrendo un tratto prestabilito e rettilineo lungo non più di mezzo chilometro.
La professoressa Maria Luisa Tozzi, dopo di avere studiato le fonti al riguardo, ha potuto diffondere che il campo di Casacalenda era diretto alla stregua di un educandato. La popolazione, in particolare i giovani e i maschi adulti, non si facevano troppe domande al riguardo; al massimo rimanevano attratti dalla bellezza di alcune ospiti. Di una, in particolare (una certa Hildegarde), s’era innamorato un commerciante di tessuti che aspirava a sposarla.
La donna era originaria di Varsavia e si racconta che avesse l’incedere della nostra Sofia Loren, tale era la sua bellezza. Storie di donne, come questa, a Casacalenda se ne iniziarono a iosa; ma, oltre all’innamoramento, si vissero pure momenti di apprensione, slanci di impegno sociale ed attimi di disperazione. Erano veramente tanti i soggetti che rischiavano di finire nei campi di concentramento prima di tornare a respirare la vera libertà.
Termolionline ha già avuto modo di riferire che, in Molise, furono cinque i campi di internamento. Erano stati aperti in Agnone, in Bojano, a Casacalenda, in Isernia ed a Vinchiaturo. La struttura kalenina era in piena linea con la programmazione del Governo fascista. Ubicata in una piccola comunità a scarsa concentrazione demografica, si ritrovava ad essere ben lontana dagli scenari di guerra. In tali contingenze era possibile esercitare un maggiore controllo sulle internate, dal momento che si trattava di un agglomerato in rosa (come pure quello di Vinchiaturo) che raggruppava prigioniere di età oscillante tra i diciassette ed i settant’anni. Il “campo” era stato ubicato in un’ala del Palazzo di Blasio e la sua gestione (ordine pubblico) era stata conferita ad un sottufficiale quiescente. Da un punto di vista amministrativo dipendeva da una Direttrice, da un’assistente oltre che dagli agenti che, materialmente, avrebbero fatto rispettare l’ordine. Secondo la professoressa Tozzi la residenza poteva ospitare sino ad un massimo di sessanta persone; cosicché, nel giro di tre anni di funzionamento, furono quasi duecento le donne a cui toccò convivere giocoforza per praticare questa ben triste esperienza.
Le accuse che venivano mosse potevano concernere presunte attività spionistiche ed intese (tutta da dimostrare) con il nemico. Le prigioniere erano per lo più ebree di origine straniera (ma non mancavano le italiane); poi ve n’era di slave, di presunte comuniste e di etnia zingaresca. Oltre a quelle sopra elencate, le motivazioni per sottoporle a restrizione forzata attingevano anche alla fantasia. Un esempio? Più erano belle e più potevano essere considerate pericolose al fine di carpire (per poi rivelare) segreti militari. Venivano strappate da un giorno all’altro alle famiglie ed al lavoro per iniziare a vivere quella sorta di prigionia che, comunque, avrebbe segnato la loro vita Ma, secondo la professoressa Tozzi, almeno per quanto riguarda Casacalenda, non si registrarono maltrattamenti all’interno di Palazzo di Blasio, a parte la maniera di porsi che portava i carcerieri a considerare la donna un oggetto da sorvegliare. Negli altri campi molisani venivano accolti soprattutto i pregiudicati per reati comuni, comunque sospetti di spionaggio e di attività antinazionale.
Chi era presente sul territorio, su indicazione della Prefettura, fu destinato a Bojano in quattro costruzioni facenti parte di un ex-fabbrica dove si lavorava il tabacco. Poi quella struttura fu rigenerata a ginestrificio durante il periodo dell’autarchia. Situata di fronte alla linea ferroviaria, era circondato da un reticolato alto due metri. Secondo i dati ufficiali, poteva accogliere 250 internati normali o, in alternativa, 300 persone di etnia ‘rom’. In realtà, ne vennero imprigionati appena 58, trasferiti nel 1941 nel campo di Agnone (che già ne aveva avuti in carico altri 57). In settembre erano 76 gli internati italiani, spagnoli, croati e francesi. Successivamente un gruppo venne trasferito ad Isernia.
Claudio de Luca