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lunedì 2 Giugno 2025
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Jovine condanna l’assenteismo: la penna, unica spada contro il fascismo

LARINO. Nel nome di un impegno sociale sentito, Jovine superò le posizioni neo-idealistiche e crociane. La fine della dittatura aveva mostrato agli intellettuali aspetti d’una nuova visione della vita ed il marxismo aveva fatto presa su tanti. La cultura italiana si frantumò in correnti, polemiche tra di loro, che coltivavano il ripudio di aggiornare l’idealismo. In letteratura, ci si diresse verso una narrativa ancorata al reale, rigettando ogni residuo decadentistico. Su tali basi si aprì un dibattito che sfocerà nel “programma” bandito da Elio Vittorini su “Il Politecnico”. Fabrizio Onofri, sostenne che la cultura prodotta sotto il regime era da condannare perché non aveva fatto “niente per opporsi al Fascismo”. Anche Moravia fu d’accordo, propugnando un impegno che non fosse visibile ai soli addetti ai lavori per rivelarsi esplicitamente. Vedeva di buon occhio un Maestro che indicasse una linea di condotta agli altri.

Queste prese di posizione non mancarono di provocare l’alzata di scudi di quanti, annoverando tanta parte della propria opera letteraria sotto il Fascismo, la vedevano vilipesa e bistrattata. Fu proprio a parziale difesa di costoro che Corrado Alvaro sostenne che non tutta la produzione fosse da buttare. Se non altro erano stati mantenuti in vigore alcuni valori tramandati dalla tradizione e bene utilizzabili anche in quella contingenza. Jovine intervenne (“Vie nuove”) quasi a volere giustificare la sua limitata combattività, opponendo le difficoltà ed i pericoli di cui era irta la vita di un intellettuale non allineato. Chi allora prese posizione “lo fece a suo danno”, sottoponendo ogni sua azione alla “prudenza (…), e ponendo limiti alla sincerità intera dell’espressione”. Insomma si tendeva più ad essere ipocriti; ma questo avveniva a detrimento di un concetto di letteratura vista in funzione educativa e fortemente addentellata alla realtà sociale.

L’intervento chiarificatore fu quello di Elio Vittorini: ”Non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini”. Cominciarono, così, gli attacchi alle pagine consolatoria, caratteristiche della storia precedente, e si asserì che i nessi tra cultura e politica sono molteplici e vincolanti; che lo scrittore non può esimersi dal compromettere sé stesso con la vita sociale perché deve “partecipare” per mutarne il corso, ricostruirla ed essere di esempio per gli altri.

Così Jovine giunse a pensare che fosse necessario risolvere tutto nella storia, anche se per lui, rigido al suo attaccamento al documento umano, la storia graviterà sempre intorno ad un protagonista. Nello stesso tempo, comprendeva come l’arte nascesse non dal dato epidermico ed immediato, bensì dalla compartecipazione alla realtà. “L’arte – scrive nel ’43 – è sempre il risultato di un’escavazione profonda per ritrovare il poco oro sepolto in noi, che si nasconde per lunghi anni. La spontaneità, l’autenticità sono il risultato di un lavoro intimo, lungo e penoso, e non frutto dell’immediatezza incontrollata”. E su ‘l’Unità’ (1948): ”L’artista vive in questa società, e se è dotato di intelligenza, fantasia, ed ha profondo impegno morale, è scrittore, artista sociale nel senso più alto del termine. La sacralità della sua opera non sarà però il frutto di una esigenza estrinseca o di un programma, ma il risultato di quella sua diretta adesione morale alla società in cui vive”.

Anche per il Guardiese l’assenteismo era da condannare; e, per evitare reviviscenze dittatoriali, la penna doveva mutarsi in una spada appuntita, e non ritornare ad essere il pennellino che dipinge fiori e lacrime consolatorie. Insomma la letteratura deve agire sulla sostanza umana (e quindi sulla storia intesa nella concretezza del particolare) e deve indagare la problematica dell’uomo in contatto con un ambiente concreto. Si matura così definitivamente in lui l’interesse e il sentimento della sua terra, dei suoi cafoni. Egli, che già con “Signora Ava” si era immerso nel mondo antico e contadino delle sue origini paesane, studia ora i moti rivoluzionari e politici del Meridione in genere, e del Molise in particolare, e comprende che il possesso della terra è il motore di tante contese fra le classi.

Claudio de Luca