MONTENERO DI BISACCIA. L’Adusbef, associazione difesa consumatori utenti dei servizi bancari e finanziari, tramite l’avvpcato Valentina Bozzelli, rende noto che, relativamente alle Offerte di diamanti da investimento, operate da alcune società che rispondono al nome di Intermarket Diamond Business (Idb) e la Diamond Private Investment (Dpi), collocati presso alcune Banche, le stesse hanno utilizzato modalità poco trasparenti e gravi omissioni ai danni dei consumatori/investitori, con violazione dei loro diritti soprattutto sotto il profilo del diritto di recesso e del Foro competente. Questo è quanto censurato, contestato e sanzionato dall’Antitrust nella sua adunanza del 20 settembre 2017, allorché ha comminato multe per 15 milioni di euro per gli istituti bancari e le due società operanti nel settore dell’investimento di diamanti. Le banche coinvolte sono la Unicredit, Banco Bpm, Intesa Sanpaolo e Banca Monte dei Paschi di Siena. Questi i fatti.
I cosiddetti “diamanti da investimento” sono classificati in base ad una serie di parametri; le cosiddette 4C: il peso (Carati), la purezza (Clarity), il taglio (Cut) ed il colore (Color).
Il mercato delle pietre preziose ha fatto registrare notevoli sviluppi negli ultimi 20 anni, con un ragguardevole aumento del giro d’affari (e dei soldi!). L’acquisto di preziosi rappresenta, così, una forma di diversificazione dell’investimento rivolta verso i supposti “beni rifugio”.
Tale forma di investimento, avviene principalmente attraverso il canale bancario secondo una schema abbastanza semplice basato su un servizio di jewellery consultancy: i clienti interessati (frequentemente “esortati” e convinti dalle banche) vengono segnalati dall’istituto di credito ad una delle società operanti nel settore dei preziosi che, di solito, intrattiene una sorta di convenzione con la banca. Il cliente può operare un investimento non inferiore ai 5.000,00 euro. Le società incaricate dal cliente svolgevano, per suo conto, un’intermediazione nell’acquisto di diamanti “nuovi” o di rivendita dei preziosi a mezzo di un mandato irrevocabile. Tale attività viene remunerata con una commissione che incide sul prezzo in misura percentualmente decrescente a seconda del tempo che trascorre fra l’acquisto e la richiesta di rivendita.
Che cosa è successo?
L’Antitrust ha contestato le modalità di offerta e compravendita dei diamanti, accertandone l’ingannevolezza e gravi omissioni da parte delle Banche e delle società di vendita dei diamanti.
In particolare, l’Autorità competente contestava la scorrettezza delle indicazioni riguardanti il prezzo di vendita e l’andamento del mercato. L’investimento è stato presentato come sicuro e facilmente riscattabile visto “l’agevole rivendibilità dei diamanti”, che secondo le imprese aveva una “tempistica certa”. Gli istituti di credito garantivano “ampia credibilità alle informazioni contenute nel materiale promozionale delle due società e determinando molti consumatori all’acquisto senza effettuare ulteriori accertamenti”. Per quanto riguarda il prezzo di vendita, l’Antitrust ha contestato la determinazione del prezzo stesso che avveniva senza alcun riferimento agli indici internazionali; la liquidità, invece, seguiva un diverso criterio in quanto dipendeva dall’eventualità che “il professionista (la società di compravendita di diamanti) trovasse altri consumatori all’interno del proprio circuito”.