TERMOLI. Il problema di chi paga le spese legali (leggi termoli online del 5 c.m.) è grosso, tanto più quanto minore è il valore di una causa. Se il valore del contenzioso è 100 e, per difendersi, occorre assoggettarsi a spese legali più alte, si può anche avere piacere nel vincere, ma ne valeva la pena? Perciò la regola per cui le spese del vincitore sono da addossare allo sconfitto hanno lo scopo di impedire che il costo della Giustizia e della difesa costituiscano una beffa per chi ha ragione e buoni diritti.
Ed ecco perché, quando il Giudice vede gravi ed eccezionali ragioni, può scegliere di alleggerire la posizione di chi perde, esonerandolo – in sentenza – dal rimborsare le spese legali al vincitore. A stabilire il principio è stata la Corte costituzionale (sentenza n. 77/2018), allargando le eccezioni alla regola per cui «chi perde paga». E così, dalle attuali e tassative due ipotesi, si transita ad un sistema che vede il Giudica protagonista, abilitato a valutare, caso per caso, se chi perde debba (o meno) pagare le spese legali in tutto od in parte. Il fatto è che non sempre le vicende processuali sono semplici e l’esito prevedibile. Può, quindi, capitare che si inizi un processo (o si resista), senza abusare del processo stesso, e si finisca per avere torto; che poi venga fuori una legge retroattiva o annullata dalla Consulta e che la legislazione non sia facile da interpretare (‘et similia)’. Questi ragionamenti sono stati (e sono) lo sfondo in cui si è mosso e si trova l’art. 92 Cpc che, in origine, stabiliva che il Giudice poteva decidere che ogni parte si pagava il suo avvocato (compensazione delle spese) in caso di soccombenza reciproca o di altri giusti motivi. Insomma questa figura aveva piena discrezionalità sulla individuazione dei giusti motivi. Una prima modifica del 2005 ha richiesto al giudice, nel caso dei giusti motivi, di non essere vago ma di indicarli esplicitamente nella sentenza: quindi rimane la regola sostanziale dei giusti motivi, ma si introduce un rigore formale di motivazione. Una seconda modifica (del 2009) abbandona i «giusti motivi» e pretende, in caso di compensazione delle spese, che nella motivazione siano indicati – esplicitamente – gravi ed eccezionali ragioni. Infine, nel 2014, una terza modifica abbandonò una regola, formulata in termini generali, che lasciava spazio di manovra ai Giudici, scegliendo l’elenco di casi tassativi: la compensazione si poteva fare (oltre all’ipotesi della soccombenza reciproca) solo nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. Questo sbarramento alla discrezionalità è stato ora tolto dalla sentenza n. 77/2018 della Consulta ed il principio è diventato il seguente.
Il Giudice civile, in caso di soccombenza totale di una parte, può compensare le spese di giudizio, parzialmente o per intero, non solo nelle ipotesi di «assoluta novità della questione trattata» o di «mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti», ma anche quando sussistono «altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni». In sostanza, con una pronuncia additiva sull’art. 92, c. 2, Cpc, si è tornati indietro alla seconda modifica del 2005. A questo punto il problema è di comprendere quali siano le altre gravi ed eccezionali ragioni, che possono giustificare il fatto che chi vince deve pagarsi il suo avvocato e, quindi, di fatto ci rimetta dei soldi. La Consulta non si tira indietro e dà qualche indicazione di dettaglio. Per osservare i principi costituzionali di ragionevolezza e di uguaglianza si devono compensare le spese in casi analoghi a quello del cambiamento di giurisprudenza. Rientrano in questa categoria le ipotesi di sopravvenienza di una norma di interpretazione autentica o una legge posteriore con effetto retroattivo, oppure una sentenza di illegittimità costituzionale o una decisione di una Corte europea oppure ancora una nuova regolamentazione nel diritto dell’Unione europea. L’elenco fatto dalla Consulta non è tassativo, perché la sentenza in esame dà spazio ad altre non nominate analoghe sopravvenienze, sempre che incidano su questioni dirimenti, che il giudice può valutare caso per caso.
Claudio de Luca