LARINO. Di recente “Il Fatto quotidiano” ha raccontato i piccoli borghi italiani ed è partito proprio dal Molise, utilizzando lo studio effettuato da ‘Rionero 2000’ che ha fatto puntare lo sguardo ai suoi operatori sulla provincia di Isernia. Secondo due urbanisti il primo paese a sparire potrebbe essere Castelverrino. E ciò potrebbe accadere quanto prima se non dovessero concretarsi politiche pubbliche di rinascita, ripartendo dalla fiducia nelle cose da fare. “Se non si vuole perdere il patrimonio storico-culturale-sociale di queste comunità rurali si deve intervenire in modo da ricreare una stabile attività economica che sappia sfruttare in modo innovativo le antiche risorse e peculiarità sia artigianali che gastronomiche”. A tale scopo riuscirebbe utile incentivare la nascita di un sistema a filiera corta che, supportato da una diversificazione fiscale sulle attività economiche, abbia a compensare le difficoltà derivanti dalle caratteristiche geografiche, demografiche ed economiche del territorio. Innumerevoli sarebbero i vantaggi economici sia per le comunità locali che per chi usufruirebbe dei suoi prodotti. Agli interventi di carattere economico e commerciale si potrebbe accostare uno sviluppo di innovazioni tecnologiche che, considerate le difficili condizioni ambientali in cui sono immersi questi villaggi, sono imprescindibili ai fini di una rinascita. Naturalmente non è soltanto la porzione interna dell’Isernino a patire. Secondo il Cresme, in Italia almeno un Comune su tre rischierebbe l’estinzione. Per il Molise la situazione risulterebbe addirittura drammatica per tanti Comuni della regione.
Gli autori della ricerca ritengono che gli abitanti di questa zona siano più poveri (reddito inferiore al 26% rispetto a quello nazionale); meno istruiti (solo l’1,5% della popolazione sarebbe laureata, contro una media del 3,6%); poco occupati (risulterebbero essere un terzo i lavoratori in meno nelle imprese private). La maggior parte dei Comuni in via di estinzione troverebbe ubicazione nelle aree interne. Negli ultimi anni, con riferimento alla risorse destinate al credito d’imposta, da investire nelle aree depresse, alcuni centri hanno perso subito la partita, mentre altri (4 comuni nell’Agnonese; 17 nel Campobassano; Casacalenda; Bonefro, S. Croce di M. e 5 paesi nel Triventino) sono riusciti a comparire nella mappa dei destinatari di aiuti statali per le imprese. Per le Oo.ss. “è grave che il Governo continui a parlare di concertazione quando poi, nei fatti, non ci mette neppure al corrente delle ipotesi su cui sta lavorando”.
Il risultato è che, così com’è stato concepito, il credito d’imposta si traduce ancora una volta nel completo abbandono delle aree più deboli, vale a dire proprio quelle in cui il tessuto imprenditoriale, a trama larga, si rivela tuttora impalpabile; e questo sol perché, in luogo di puntare su pochi (ma buoni) progetti, si preferisce – per smania di facili consensi politici – ritornare all’antico sistema della distribuzione dei fondi a pioggia, come ai tempi della legge “64”. Per fortuna, tempo addietro, il regalo arrivò dall’U.e., che diede il via libera ad una vagonata di miliardi già attesi vanamente dagli amministratori di Campobasso, Potenza, Reggio Calabria, Napoli, Bari, Cagliari e Palermo. Una massa di danaro cui contribuì anche il Governo italiano, devoluto al fine di dare attuazione pratica ai Piani operativi regionali, previa programmazione dei criteri per l’impiego dei fondi strutturali europei. In sostanza una Commissione approvò i documentati desiderata delle sette Regioni, ed i fondi furono assegnati in base a parametri determinati dall’Agenzia Eurostat che considera la popolazione residente (quella attiva), i livelli di disoccupazione, la spesa ed i consumi per singolo abitante.
Nel dettaglio, al Molise andarono 1.188 miliardi di lire contro i 18.484 della Sicilia, i 17.845 della Campania, i 13.097 della Puglia, gli 11.510 della Calabria, i 9.199 della Sardegna ed i 3.114 della Basilicata. La CASMEZ fu “(1950-inizio Anni ’90) fu partorita da De Gasperi ed il primo piano economico venne finanziato per il primo decennio con una dotazione di ben 1.000 dei miliardi di allora.
Claudio de Luca