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sabato 31 Maggio 2025
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La “distruzione” di Pompei in un incredibile documento epigrafico a Morrone del Sannio

MORRONE DEL SANNIO. La zona archeologica di Casalpiano rimane ospitata in un’ampia superficie pianeggiante, di media collina, attraversata – a valle – dal letto del fiume Biferno. Ci troviamo nei pressi del tratturo ‘Celano-Foggia’, in un’area che – nel periodo repubblicano di Roma costituiva parte integrante dell’ ‘ager’ frentano. Qui passava il suo tempo una Rectina che – secondo un’iscrizione rinvenuta ‘in loco’- riuscì a ritornare, incòlume, a Casalpiano dopo che il Vesuvio, in eruzione, distrusse Pompei (mentre lei vi soggiornava) ed i suoi dintorni nel 79 d.C. A raccontarne la storia c’è una testimonianza di Plinio il giovane che si riferisce a questa donna, definendola amica di Plinio il vecchio nonché moglie (o vedova?) di Casco (o di Caesio, forse il poeta Caesius Bassus, amico ed editore di un altro grande scrittore latino, Persio). Rectina, a giudicare dall’iscrizione, apparteneva alla nota ‘gens Salvia’. Proprio nell’agro di Morrone, viene ricordata in un’epigrafe rinvenuta sul posto, fatta innalzare da un liberto per ricordare il ritorno della ‘domina’, scampata all’eruzione del Vesuvio. L’iscrizione ricollega, per l’appunto la donna a quella citata in una lettera di Plinio il Giovane (‘Epistulae’, VI-16) in cui lo scrittore latino rievoca i momenti e le cause della morte di suo zio all’amico Tacito. Sottolinea quel che accadde al congiunto il giorno della distruzione di Pompei. In quel periodo la flotta imperiale si trovava a Capo Miseno. L’evento solleticò la curiosità dello scienziato che si era avviato con una nave per prendere visione del fenomeno. Fu allora che gli venne consegnato un bigliettino di Rectina (che possedeva una splendida villa dalle parti di ‘Erculaneum’, la zona dove si recavano a fare i bagni le famiglie più ricche e notabili dell’epoca). L’amica lo pregava di andarla a salvare in quanto non aveva altra via di fuga se non quella del mare. L’iscrizione trovata a Casalpiano offre certezza circa il ritorno della padrona a Morrone.

La citata villa ha assunto importanza proprio in grazia del ritrovamento della lapide che i domestici di Rectina vollero collocare al fine di ringraziare gli Dei per il ritorno della padrona scampata al “formidabil monte sterminator Vesevo”. L’intuizione l’ebbe nel 1939 l’americano Van Buren che ritenne di individuare in quella nobildonna romana la Rectina di cui parlò Plinio il giovane nella lettera inviata a Tacito per raccontare della disastrosa eruzione. Poi la villa andò in decadenza e (come sottolinea Franco Valente) soltanto con il poderoso impulso riorganizzativo delle attività agricole, nell’ambito di una concezione religiosa legata alla preghiera ed al lavoro, quel complesso abbandonato tornò a nuova vita ad opera dei monaci benedettini. A. W. Von Buren, fu Presidente dell’Accademia americana di Roma, ed operò il raffronto nell’ultimo volume dei ‘Rendiconti’ della Pontificia romana (come ricorda Berardo Mastrogiuseppe alla luce di una sua breve ricerca). Insomma, a dire dello studioso il Molise possiede l’unico documento epigrafico contemporaneo dello sconvolgimento che distrusse Ercolano, Pompei e Stabia. Ed è stato sulla base del principio della convergenza (o coincidenza), delle indicazioni e delle testimonianze che la dottrina di Von Buren arriva a stabilire che la succitata Rectina era proprietaria di questa villa nell’agro di Morrone del Sannio dove fu innalzata un’ara innalzata agli Dei dal suo affezionato liberto. Peraltro, proprio la solennità rituale con cui è concepita l’iscrizione implica che l’atto prodotto da quell’uomo fu motivato dal felice ritorno della sua padrona, scampata ad una situazione di pericolo non comune. Il pregevole studio è corredato da citazioni e da confronti con profonde questioni di dettaglio e di osservazione; ed offre un ulteriore magnifico modello di certa vilipesa romanità molisana.

Claudio de Luca