TERMOLI. Da alcuni luoghi particolarmente importanti nella storia di Termoli, stavolta passiamo a un simbolo, quello della gastronomia locale. L’excursus termolese di Luigi De Gregorio, la rubrica con cadenza (quasi) settimanale ci porta oggi a mangiare con gli occhi il “Brodetto”.
Certo, c’è chi dice che questo termine deve essere associato alla cucina vastese e che dalle nostre parti si dovrebbe chiamare zuppa di pesce. Ma poco importa. Il ribollire che già viene in mente, con pomodoro, olio e la fragranza del pesce fresco dell’Adriatico rende tutto meno campanilistico.
E’ questo il viaggio che il concittadino trapiantato da oltre 40 anni nel capoluogo lombardo tratta di un luogo che davvero richiama origini, radici e identità.
Termoli Storia & Amarcord stavolta bussa in cucina e nei ricordi custoditi negli anfratti della mente, anche per celebrare il ritorno all’attività di pesca che da una settimana scarsa ha contrassegnato questo inizio di autunno.
Il titolo brodetto di pesce potrebbe trarre inganno. E far pensare che da parte nostra si voglia parlare della relativa ricetta e come essa vada eseguita. Ma ovviamente non è così perché i Termolesi non hanno bisogno di un’informazione già esistente nelle singole famiglie, radicata nella cultura gastronomica cittadina, in sostanza già conosciuta da tutti.
Né si vuole da parte nostra portare avanti un confronto qualitativo tra il brodetto di pesce di Termoli con quello di Vasto o di Pescara o di Ancona o portandoci sul Tirreno con quello di Livorno.
Una comparazione che già in partenza sarebbe caratterizzata dalla campanilite, una forma acuta derivante dalla più generica malattia del campanilismo. Che comporta l’offuscamento della obiettività dovuto alla piena complicità delle narici e delle papille gustative che parteggerebbero per il brodetto da mazz du castill. Pertanto l’eventuale ipotetica gara gastronomica sarebbe inutile perché il verdetto inappellabile sarebbe il brodetto termolese è il migliore.
A quanto sopra si aggiunge che, come è stato detto nella presentazione, la presente rubrica non è certo di tipo gastronomico.
Premesso quanto sopra, vogliamo invece presentare un amarcord che riguarda una situazione, un comportamento diffuso nelle varie famiglie termolesi alcuni decenni fa. Più precisamente nel periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio del boom economico (a metà circa degli anni cinquanta).
Ebbene nel suddetto periodo (a prescindere dalla fase prebellica) il pesce ha rappresentato il prodotto alimentare clou dell’alimentazione termolese. E questo lo si può immaginare facilmente, pensando alla grande disponibilità connaturale ad un paese di mare.
Ma forse è meno noto che nella quotidianità la suddetta abbondanza comportasse delle mini contestazioni familiari.
Infatti le nostre madri, chef responsabili dei menù familiari, preparavano piatti più o meno tutti a base di pesce, tra i quali il brodetto serale la faceva da padrone. Ne conseguiva la contestazione dei figli. Bonaria, ma non sempre, che partiva con lo sbuffare a ma’ pure stasera hai cucinato pesce.
In contrapposizione al pesce abbondante e ripetitivo sulle tavole dei Termolesi, la carne rappresentava invece il prodotto della domenica per la maggioranza della popolazione, mentre era disponibile a volontà, ogni giorno della settimana, su quelle dei soliti privilegiati in quanto ricchi.Insomma per quasi tutti i Termolesi unendo il sacro ed il profano domenica era festa religiosa (si andava anzi si doveva andare a messa) e nello stesso tempo festa del palato. Finalmente non si mangiava pesce, ma si mangiava carne.
A conferma di ciò si ricorda che le macellerie in quel periodo erano molto poche e scarsamente frequentate, ma la domenica si faceva la coda per l’acquisto del nuovo venerando cibo.
Appena iniziò la ripresa post bellica del lavoro ed i soldi cominciarono a circolare di più, la carne appari’ sulla grande parte delle tavole termolesi con una frequenza bisettimanale. Alla domenica si aggiunse il giovedì della cui scelta non è dato sapere. Ossia e perché non il mercoledì. Ovviamente questo fenomeno bisettimanale del mangiare la carne era testimoniato dalla grande affluenza dei neo carnivori in macelleria.
Infine arrivò il boom economico. Il consumo della carne superò ampiamente il modico consumo bisettimanale ed il numero delle macellerie aumentò a dismisura.
Nella stessa via Vittorio Emanuele III e strade adiacenti se ne potevano contare cinque-sei ed in tutte trovavi la coda da fare.
In verità non bisogna immaginare delle file ordinate alla maniera inglese o di quelle imposte dalle banche con segnaletica o vincolanti cordoni, in voga prima dell’avvento degli sportelli bancari automatici. Ma piuttosto un agglomerato di quindici-venti persone che si accalcavano al bancone che per motivi a me sconosciuti era su un piano eccessivamente rialzato rispetto al pavimento, ove sostavano i nuovi affamati di carne. Insomma un dislivello che faceva apparire il macellaio come un dio dispensatore del nuovo prodotto alimentare portatore di forza e di grande salute.
Con lo sviluppo dell’economia italiana e un Pil crescente a due cifre diventava sempre più evidente il declino del pesce e lo strapotere della carne. Quest’ultimo basato sulla piena convinzione che niente poteva essere più salutare per piccoli e grandi una bistecca di carne.
Ma come le persone le famiglie gli stati e gli imperi, così anche i prodotti hanno la loro fase di sviluppo, di declino e a volte anche di nuovo sviluppo. E così il pesce oggi vive un nuovo boom. Ma di élite. Ricercato nei ristoranti migliori, pagato molto più della carne. La sua rivincita è totale.
Supersintesi.
Fine anni 40 – prima metà degli anni 50. Il Brodetto di pesce è stato il piatto più rappresentativo ed il più popolare con frequenza di consumo forzatamente giornaliera.
Oggi. Il Brodetto di pesce è un piatto ricercato. Non voglio dire per privilegiati o per pochi, ma certamente non accessibile quotidianamente da far sbottare i figli a ma’, anche oggi brodetto di pesce!