LARINO. Direi che è qualificante essere ‘ribattezzati’, anche se i soprannomi nascono soprattutto dalla voglia di sbertucciare qualcuno; quindi possono contenere una punta di cattiveria ma anche un po’ di affetto. Per gli antichi erano indispensabili, essendo difficile districarsi tra protagonisti o comparse con lo stesso nome. Ma anche oggi insorge, di sovente, la necessità di individuare una persona in un gruppo dello stesso nome, soprattutto in uno dei tanti paeselli molisani. Occorre comunque precisare che il Soprannome, seppure fosse infamante, rimane qualcosa di molto diverso dall’insulto (che è sempre generico): «ignorante» si può dire a chiunque con buone probabilità di azzeccarci, ma non caratterizzerà mai; il soprannome, invece, dimostra una certa attenzione, spesso uno studio accurato del personaggio; ed è accettato in tal senso, anzi diventa addirittura lusinghiero. Però tutti, fossero pure stati indossati in vita con orgoglio, con autoironia o con rassegnazione, difficilmente vengono rivendicati in morte. A chi scrive glie ne è noto uno solo, inciso addirittura sul marmo della lapide cimiteriale in un Paese molisano (che non nomino); e non mi vergogno a riferire che, ogni volta che mi viene da leggerlo, il gesto mi commuove:”R. V. (scritto per esteso) detto ‘O Re”. Suo papà era legittimato a fregiarsi del titolo dalla voce popolare ed il figlio maggiore lo ereditò con orgoglio. A parte questo esempio, è difficile che sui “manifesti da morto” compaiano i ‘contranomi’ che giravano in vita, talvolta usati soltanto nei manifesti che contribuiscono a diffondere le generalità di chi si sia presentato alle liste elettorali per farsi meglio riconoscere o per non essere confuso con altri. Ma certo curioso modo di ricordare i defunti rimane tuttora diffuso nel Napoletano, mentre, nel Molise, è ben difficile che abbia a verificarsi. Perciò, diversi mesi fa, il vostro cronista ha avuto l’idea di contattare gli amici di vari centri della ventesima regione perché avessero a segnalare qualche eccezione. Non venimmo posti a conoscenza di defunti che in vita venivano chiamati “Babbà’” e “Pesciolino” ma, di qualche ‘distrazione’, rispetto alla regola, venimmo a conoscenza. Ve ne parliamo senza dirvi dove.
L’origine del soprannome rimane un mistero, ma – in molti casi – ci vuole ben poco per intuirlo. Se qualcuno si ritrova ad essere definito “’Nsogna” (sugna) sicuramente non può essere stato, in vita, un modello di magrezza. Se, sul manifesto di un altro, compare “Peppe tre ossa”, non può trattarsi che di una specie di Stanlio. Se a tale C. M. si appioppa (nel sottopancia del titolo dell’annuncio funerario) la dizione “detto Hitler” non possiamo pensare che a qualcuno che – per somiglianza fisica o per simpatie politiche – s’era guadagnato in vita tale ingombrante aggiunta. Ma se il Molise è povero di defunti soprannominati, Napoli ne è piena. Tant’è vero che un editore partenopeo ne ha pubblicato un’antologia intitolata “Viaggio nei soprannomi del popolo partenopeo”. Nel volumetto le foto dei manifesti vengono raggruppati per tipologie. Vi sono nomignoli riferiti a caratteristiche del corpo (‘Cuolle stuorte’, ‘Vocca ranne’, grande, ‘Ricciulille’) ed altri che indicano riferimenti familiari (‘Madre di Formaggino’. ‘Figlio di Peppe ‘o milionario’). Altri ancora si riferiscono ai mestieri tradizionali di cui si occupava il defunto (‘O ferràre’, ‘ ‘A cammesàre’) o di arti più recenti (‘Franchetiélle ‘re lavatrice). Il più curioso resta quello comparso sul manifesto funebre di un tale soprannominato – chissà perché – ‘Tonino cazz ‘e fierre). Cosa può voler dire tutto questo simpatico ricordo? Che la sopravvivenza, ‘post mortem’, di un soprannome altro non rappresenta che il segnale di una cultura popolare che resiste ancora oggi e che marca pesantemente certi territori più di altri. Secondo l’urbanista Giovanni Laino, coautore del simpatico volumetto sopra citato, “sarà il tentativo di risalire la china di un oblio secolare. Inserire nei manifesti funebri, accanto alle generalità del ‘de cuius’, il soprannome (fosse pure sconosciuto ai mille fili del tessuto sociale) può solo voler dire mettere in primo piano quel che lo ha reso visibile agli occhi del mondo”. Un modo come un altro per farti rivivere.
Claudio de Luca