MOLISE. Nel 2018 il Comune di Bojano ha patito un dissesto finanziario. In Italia altri 29 enti si ritrovano nella medesima condizione. Una situazione del genere produce molteplici effetti che bloccano le attività del Palazzo, con conseguenze dirette sulla vita dei cittadini, soprattutto per quanto riguarda le questioni economiche, finanziarie e la vita sociale. Essa si presenta quando un ente locale territoriale non sia più in grado di assolvere alle funzioni ed ai servizi indispensabili, oppure quando nei suoi confronti siano vantati crediti a cui non si riesca a fare fronte. Ma un dissesto non è come un fallimento dal momento che un Comune non può cessare di esistere. Però deve patire ben 5 anni durante cui l’Amministrazione deve adoperarsi per recuperare l’equilibrio economico. Ma ben altre criticità incombono ove si prenda atto che 7 Comuni al Nord, 7 al Centro e 58 al Sud hanno dovuto vedere certificato il loro grave stato; e che, dei 72, 42 sono in fase di riequilibrio. Purtroppo dietro questi numeri vive una popolazione di circa 2 milioni di abitanti. Le uniche regioni senza problemi? Il Friuli, il Trentino-Alto Adige, la Valle d’Aosta, il Veneto e la Sardegna. Com’è noto i Comuni hanno un’autonomia finanziaria contabile; ma, secondo l’Istituto per la finanza locale dell’Anci, esiste una ‘questione meridionale’ perché – su 84 enti in crisi – oltre la metà (il 60,7%) si concentra in Calabria (25) ed in Campania (24, di cui 16 solo nella provincia di Caserta). Negli anni passati fare debiti era la norma dal momento che consentiva agli Esecutivi di disporre di entrate aggiuntive. Basta ricordare la storia di Termoli, che peraltro – all’epoca – non era la sola città a praticare giochetti di tal genere. Di qui la redazione di bilanci privi di coperture che avrebbero lasciato nei guai le Amministrazioni che ne fossero seguite. Più tardi i Comuni hanno subito pesanti tagli alle entrate sinché si è giunti – tra il 2010 ed il 2015 – ad una solenne sforbiciata di 8,6 miliardi di euro; e poi ad una ulteriore riduzione di 2,5 miliardi determinata dall’istituzione del “Fondo crediti di dubbia esigibilità”.
Oggi la regione che ha più problemi è la Calabria. Qui è stato registrato il numero più alto di Comuni che hanno dichiarato il dissesto finanziario (ex-art. 246 Tuel) o che hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio pluriennale, secondo i dati vidimati nell’ottobre scorso dalla Corte dei conti. In questa regione, sulla scorta dei dati di un anno fa, si registravano 41 dissesti e 54 riequilibri, per un totale di 95 Comuni. Tra quelli che rischiano il ‘fallimento’ per i conti disastrati c’é Vibo Valentia. Ci sono poi quelli finiti nel capitolo del dissesto, che prevede una via di uscita di 5 anni. E tra questi, a fine settembre del 2018, figurava Gioia Tauro. Reggio Calabria e Cosenza sono, invece, tra i circa 200 che hanno avviato le procedure per il pre-dissesto, secondo le norme introdotte nel 2012 dal Presidente Monti per fermare un’emorragia di risorse che prevede un piano di risanamento di 10 anni, prolungati a 20 nel 2018. Dai casi balzati alle cronache (Messina, Milazzo, Reggio e Vibo), se ne aggiungono altri in diverse regioni d’Italia. Il numero delle città con l’acqua alla gola è ampio e, secondo recenti dati della Corte dei conti, rischiano la bancarotta città metropolitane quali la Napoli del sedicente capace De Magistris insieme a piccole Comunità di medie dimensioni. A parte tante pecore zoppe, quasi tutte le Amministrazioni comunali sono riuscite a stare fuori dal gorgo, seppure una minuta percentuale di queste sia riuscita ad accumulare un disavanzo di 2,6 miliardi di euro. Ed ecco perché il vice-Presidente del Consiglio Salvini ha ritenuto di dover dire ‘no’ ad una norma ‘salva Roma’ infilata nel decreto legge ‘Crescita’. Ai giornalisti aveva risposto: “Stiamo lavorando, ma non penso che possano convivere Comuni di serie A e Comuni di serie B. Sono tanti quelli in difficoltà, non si possono fare regali a chi sì ed a chi no. Se vogliamo aiutare, sarò il primo a farlo“.
Claudio de Luca