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venerdì 24 Ottobre 2025
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​Punto nascita, «A domande sbagliate, risposte sbagliate»

TERMOLI. Se ti poni le domande sbagliate, non sperare di trovare le risposte giuste.

Ed è proprio questo che hanno fatto i vertici dell’Asrem (Azienda sanitaria regionale del Molise), quando hanno deciso di chiudere il punto nascita presso l’ospedale San Timoteo di Termoli.

Come essi stessi hanno riferito, con un comunicato stampa e con una conferenza stampa, la domanda che si sono posti è come garantire nascite sicure (per le madri e per i figli) nel Basso Molise, visto che presso il San Timoteo non sussistono gli standard di sicurezza previsti dal sistema sanitario nazionale. Standard consistenti in un numero minimo di 500 nascite all’anno, mentre a Termoli nel 2018 ci sono state solo 380 nascite, in adeguate dotazioni organiche di medici ed infermieri, che a Termoli risultano ampiamente sottodimensionate, ed infine nella presenza di un reparto di neonatologia, che a Termoli manca.

La risposta al problema è stata la chiusura del punto nascita, nel senso che il reparto di ostetricia e ginecologia continuerà ad esistere – direi meglio sopravvivere – dando assistenza pre e post parto, mentre le nascite dovranno avvenire altrove.

Problema mal posto e soluzione sbagliata. Perché?

I vertici dell’Asrem avrebbero dovuto partire chiedendosi quanti molisani nascono in un anno, divisi per le tre aree dell’Alto, Medio e Basso Molise. Se avessero fatto questo elementare esercizio propedeutico, avrebbero scoperto che nel 2017 nell’Alto Molise (provincia di Isernia) ci sono stati 599 residenti neonati, nel Medio Molise 842 e nel Basso Molise 679. Stando ai dati riferiti in conferenza stampa, l’anno passato l’ospedale di Isernia avrebbe gestito poco meno di 500 parti, quello di Campobasso circa 800 parti e Termoli, come già detto solo 380. Se confrontiamo il numero di neonati residenti nelle tre aree con quello dei nati nelle tre strutture ospedaliere, scopriamo che all’ospedale pubblico di Isernia sarebbero “sfuggite” un centinaio di nascite, a quello di Campobasso una quarantina ed a quello di Termoli circa 300.

Questi pochi e semplici dati mostrano chiaramente che nel Basso Molise non c’è un’emergenza “culle vuote” (anzi qui il tasso di fertilità è più alto che nelle altre due aree), ma che è in atto, già da anni, una fuga dalla struttura pubblica. La domanda che i vertici dell’Asrem (i due commissari, di nomina ministeriale, ed il direttore generale, nominato nel 2016 dal presidente Frattura e confermato nel 2019 dal presidente Toma) dovevano e ancora possono porsi è perché soltanto poco più della metà delle gestanti residenti in Basso Molise si rivolge al San Timoteo. È evidente che esistono gravi disfunzioni, che non sono state affrontate e si sono appesantite ed incancrenite nel tempo.

La chiusura del punto nascita non è una soluzione, ma solo ulteriore zavorra su una barca che affonda.

La risposta corretta è invece investire per portare la struttura ai livelli di affidabilità previsti dalle leggi ed a cui hanno diritto le partorienti ed i nascituri. Certo non è un processo immediato, perché ci sono tempi tecnici e bisogna anche riconquistare la fiducia delle donne; ma in qualche anno può essere compiuto.

Purtroppo al San Timoteo non è in crisi solo il reparto di ostetricia e ginecologia, le difficoltà operative investono un po’ tutto il nosocomio e sono particolarmente preoccupanti in quei reparti in cui la tempestività di intervento può fare la differenza tra la vita e la morte. Penso al pronto soccorso, alla chirurgia, alla cardiologia, alla rianimazione, all’ortopedia. Naturalmente l’auspicio è che tutto il San Timoteo si risollevi. La pregressa gestione fallimentare – sia economica, che sanitaria – che ha causato danni ai cittadini, limitando o negando loro la possibilità di fruire dei servizi a tutela della salute, quella gestione, dicevo, non può essere addotta a giustificazione di ulteriori limitazioni e tagli. Il problema va affrontato come se si dovesse costruire ex novo il sistema ed il servizio, scontando una fase iniziale in cui i costi saranno di sicuro sproporzionati rispetto alle prestazioni fornite; ma questo è l’unico modo per ridare, dopo qualche anno, anche efficienza economica alla struttura.

I vertici dell’Asrem hanno tutti gli strumenti per porsi le domande giuste e trovare le risposte adeguate, staremo a vedere se ne hanno anche la volontà.