LARINO. Nel territorio dell’antica Larino si svolse uno dei principali episodi della guerra tra Roma e Cartagine. Annibale aveva posto il suo accampamento invernale a Gerione e Fabio in un breve colle dell’agro frentano. Secondo alcuni sul Monte Arone, secondo altri in località ‘Quercia dello zucchero’ o sotto il colle di Montorio. Quinto Fabio Massimo era stato eletto ‘dittatore’ ed incaricato di dirigere la guerra. Gerione era un antico castello, collocato ad oltre 3 miglia da Larino, che non riuscì a resistere al condottiero cartaginese. I suoi abitanti furono passati a fil di spada e le loro case bruciate (Livio, 22-18 e segg.; Polibio, 111-100 e 117). Mentre i due eserciti erano schierati, Quinto Fabio fu costretto a recarsi a Roma per partecipare ad alcune cerimonie sacri; in sua vece lasciò il comando a Minucio che, desideroso di conseguire un successo personale, accortosi che i Cartaginesi erano andati a cercare vettovaglie in Chiatagrande ed in Valle Ceraso, attaccò battaglia prima che Fabio tornasse, attaccando i nemici nella conca tra il Cigno ed il Ricavolo, nei pressi della Guarenza. Ma sarebbe stato sopraffatto se un bojanese (Numerio Decimo) non fosse sopraggiunto a soccorrerlo assieme ad un esercito di 8mila fanti Sanniti, nutriti da una schiera di ‘Larinenses’. La vittoria gli meritò l’elogio del Senato ma rese più accorto il Cartaginese che – nascosti 5mila dei suoi soldati nelle grotte della Valle del Ricavolo e del Cigno – attese la rivincita. Per ingannare il capitano romano, occupò la vallata del ‘Cavalcabove’, un monticello “intercastra Minucii et Poenorum” dal cui possesso stimò che potesse dipendere l’esito della battaglia (Livio, XXII-28). Perciò, poiché i Cartaginesi mantenevano fintamente quella posizione, si impegnò – con tutto il suo esercito – in un’aspra battaglia. Era quello che Annibale desiderava; cosicché, mentre la mischia era ancora accesa, fece sbucare dalle valli del Ricavolo e del Cigno i soldati che aveva nascosto, ed accerchiò i Romani.
La sconfitta sarebbe stata disastrosa se Fabio Massimo, ritornato da Roma, non avesse riordinato le milizie in fuga presso il colle delle Cese, sollevando da una sconfitta l’imprudente Minucio e costringendo Annibale a richiamare il suo esercito negli accampamenti. Il Cartaginese perseverò nelle proprie mire anche quando il comando dei Romani fu assunto dai consoli Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo; ma senza ottenere risultati. Perciò, quando non potè più procurarsi vettovaglie nelle contrade locali, ebbe a lasciare quei luoghi a primavera avanzata ed attese i Romani a Canne dove li sconfisse il 2 di agosto del 216 a.C. Ma, persino dopo la ‘dèbacle’, i Larinesi (con i Frentani) rimasero fedeli a Roma e, più tardi, approvvigionarono l’esercito di Claudio Nerone che – al Metauro – vinse Asdrubale, fratello di Annibale.
Più tardi, nel 170 a.C., Larino, sempre sotto le insegne di Roma, partecipò alla guerra contro il Re della Macedonia Perseo (Livio, 45-2). Dopo la caduta di Cartagine, i Larinati si erano confederati con tutti gli altri popoli italici per ottenere da Rona la cittadinanza e, quindi, la parità di trattamento. Tra i dodici Pretori della Lega italica figurava Aulo Cluenzio Avito, padre del Cluenzio difeso da Cicerone, omaggiato da una patente di onorabilità, sia per valore che per reputazione e per nobiltà (“Pro Cluentio”, V). Nel 91 a.C. fu a capo dei Larinati, dei Frentani e dei Peligni contro Lucio Cornelio Silla il cui valore e la strategia militare erano ben noti. Nei pressi di Pompei si tenne una grande battaglia. Silla si accampò su quelle alture e Cluenzio a soli 500 metri di distanza. Il romano attaccò per primo ed ebbe la meglio, ma Cluenzio ricevé gli aiuti dei Galli. Poi, abbandonato da questi nel momento più critico del combattimento, prese a fuggire disordinatamente, inseguito verso Nola. I Nolani aprirono una sola delle loro porte, affinché non penetrassero nella Città anche gli inseguitori, e Cluenzio, rimasto fuori a combattere, trovò la morte. Oggi il suo nome è legato alla onomastica della principale strada del centro storico di Larino.
Claudio de Luca