martedì 11 Febbraio 2025
Cerca

«Io non mi sento colpevole», parla il dottor Vincenzo Bifernino

TERMOLI. In seguito all’esito del processo di primo grado che lo ha visto coinvolto, il dottor Vincenzo Bifernino ha voluto fare alcune precisazioni. «Per prima cosa, non sono stato accusato dalla Procura di Larino di aver effettuato visite ginecologiche “in nero,” come da voi sostenuto nell’articolo, ma di aver svolto “attività privata, benché gratuita,” ossia, di aver effettuato visite mediche in modo gratuito. Mi sembra un’accusa completamente diversa da quella riportata da voi, direi agli antipodi.Non solo, ma quella che la Procura chiama impropriamente “attività privata, benché gratuita,” altro non era che una normale attività libero professionale intra moenia, come documentano le ricevute fiscali agli atti, anche se effettuata durante l’orario di servizio e, peraltro, in perfetta armonia con quanto scolpito nel regolamento Alpi, cioè nel regolamento che disciplina l’attività intra moenia.

Ciò premesso, è vero che l’attività intra moenia non può essere effettuata durante l’orario di servizio, ma è altrettanto vero che l’Azienda, correttamente, conoscendo la situazione oggettiva dei vari reparti (carenza di personale, parco tecnologico inadeguato, eccessiva richiesta della pronta disponibilità, specialmente nelle ore pomeridiane ecc.), è corsa subito ai ripari, introducendo delle deroghe; deroghe che sono presenti anche in altri regolamenti aziendali d’Italia, e questo perché diverse aziende sanitarie italiane presentano delle criticità.

Al “San Timoteo” la prassi non era l’intra moenia durante l’orario di servizio, come, invece, affermato in sede dibattimentale, ma era l’abnorme richiesta della pronta disponibilità, specialmente nelle ore pomeridiane; la prassi era il forte aumento dei carichi di lavoro, dovuto al blocco del turn over e, quindi, una maggiore utilizzazione della forza lavoro rimasta in servizio; la prassi era la carenza di apparecchiature elettromedicali; la prassi era l’inosservanza della direttiva europea 2003/88, successivamente ripresa dalla legge n. 161 del 2014 entrata in vigore a novembre 2015, che prevede un periodo di riposo di 11 ore tra i turni; la prassi erano i turni massacranti; la prassi era far lavorare un medico in malattia. Io sono lo stesso medico che nel luglio 2010, nonostante un piede rotto e, quindi, in infortunio Inail, ho dovuto garantire, su richiesta pressante del direttore sanitario dell’epoca, 5 turni di pronta disponibilità, durante i quali sono stato costretto a recarmi in ospedale accompagnato da mia figlia, con l’aiuto delle stampelle, per eseguire un taglio cesareo.

Queste ore non mi sono mai state liquidate dall’Azienda, né io ho mai fatto formale richiesta in tal senso. A conferma di quanto appena esposto, allego relativa documentazione.Ancora, il 16 marzo 2015, ma potrei citare altri episodi, sono stato chiamato in sala operatoria, dalle ore 19.18 alle ore 00.15, per un intervento chirurgico che presentava non poche difficoltà, nonostante quel giorno non fossi né reperibile né altro. Anche queste ore non mi sono state mai liquidate, in quanto effettuate fuori reperibilità.

Questi due momenti di vita ospedaliera documentano l’alto profilo morale del sottoscritto, oltre a una particolare sensibilità alle esigenze dell’Azienda: solo chi ama incondizionatamente il proprio lavoro può avere un simile slancio di generosità. Un tale atteggiamento non mi sembra appartenere a una persona abituata a delinquere o alla truffa. Tanto detto, il Pm, Ilaria Toncini, ha chiesto la mia assoluzione, mentre il giudice Scioli ha deciso il contrario. Anche il Gip in precedenza si era espresso favorevolmente nei miei confronti.Io non mi sento colpevole. Si sta parlando, infatti, di 14 visite che in tutti i casi non credo abbiano potuto arrecare danni significativi all’azienda, tanto più in quanto esistono le corrispondenti ricevute di pagamento al Cup depositate nel fascicolo processuale. Questo, quanto dovuto per amore della verità».