mercoledì 5 Febbraio 2025
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Ma la Fiera d’Ottobre è piaciuta?

LARINO. I più anziani ricordano che, quando le famiglie di un tempo stendevano un ‘contratto’ matrimoniale, non mancavano mai di inserire una clausola secondo cui la futura sposa doveva essere condotta in visita alla Fiera di ottobre, almeno una volta nella propria vita. E questo è il segno certo, al di là di ogni elucubrazione storica, dell’importanza che la pubblica opinione aveva per l’evento larinese, importante al punto che, per un ciclo vitale intero, sarebbe rimasto nel vissuto di una donna come una delle poche occasioni per “evadere” dal proprio guscio.

Ciò posto, “la” Fiera continua ad emergere nell’immaginario annuale del circondario; ma ciò accade – io ritengo – soprattutto perché ricorda la gioventù di ciascuno. Purtroppo il ‘mantello’, di cui si avvolge, rimontante al borbonico Re Franceschiello, oramai non c’è più; al punto che occorre riconoscere che il contributo offerto dalla Regione per approntarle un sito degno è stato veramente alto ove lo si raffronti a quanto realizzato da due anni in qua da Palazzo ducale i cui gestori ‘pro tempore’ perseverano nella pretesa di organizzare ‘in economia’ i 5 giorni di ‘kermesse’.

L’Esecutivo comunale non può continuare a pensare che ci si possa apprestare alla grande sfida ottobrina cominciando ad organizzarla solo da settembre. Il fatto è che, in soli 15-20 gg., non si può metter su più di quanto sarebbe giusto vedere in un mercatino settimanale. E così, anno dietro anno, si assiste al decadimento di una manifestazione che sicuramente dovrebbe offrire ben altri ‘atout’.

Eppure lo sviluppo del primo insediamento al Piano San Leonardo ebbe a verificarsi proprio grazie al fiorire delle transazioni commerciali che si svolgevano a ridosso dell’importante tratturo che congiungeva l’Abruzzo con la Daunia. L’istituzione ufficiale dell’evento viene fatto risalire al 1742. Lo conferma un decreto reale che dovrebbe essere agli atti di Palazzo ducale in originale mentre risulta che ne girino, di mano in mano, soltanto pallide fotocopie. Evidentemente quel documento deve avere messo le ali. La manifestazione veniva effettuata, dal 13 al 18 maggio, in onore del Santo protettore S. Pardo; ma, successivamente, venne spostata alla seconda dècade di ottobre.

Dunque questa Fiera si approssima ai 300 anni di età, rimanendo lontana da un evento che dovrebbe atteggiarsi al livello di un’autentica vetrina commerciale. Oramai non accoglie più, da tempo, le innovazioni tecnologiche proposte dal mercato e non contribuisce a modernizzare i settori trainanti dell’economia locale. Pare quasi che le ultime Edizioni, ‘curate’ (si fa per dire!) dagli Amministratori e dai dipendenti comunali (con personale che, spesso, ha annullato funzioni dirigenziali per ridursi a ‘tagliare’ i biglietti), siano state trattate quasi alla stregua di una malattia esantematica. E, difatti, oggi l’evento viene affrontato con sufficienza persino nella doverosa presentazione annuale, pur sapendo quale impatto abbia portato (e potrebbe ancora portare) all’economia molisana. Anche quest’anno la merce in vendita è stata quella di sempre: mutande, calzini, noccioline, pampanella, “scapéce”, ombrelli, attrezzi per la cucina, pizze a gogò e caldarroste.

L’unica novità è quella per cui tutta questa roba ora viene esposta nella cornice, nuova di zecca, che alla Regione Molise è costata la spèndita di notevoli fondi. Ormai ciò che accade puntualmente da troppi anni non consente di trarre buoni auspici sugli èsiti futuri della manifestazione. Spiace dirlo, ma questo evento è l’unico che, in oltre due secoli e mezzo di vita, anziché migliorare, è regredito. Anzi esso era ben più importante in tempi andati che oggi (leggere, in proposito, un articolo dello scrittore Francesco Jovine, scritto per “Il giornale d’Italia”. Oggi è veramente il caso di ripensarne le modalità di svolgimento, affidandola a terzi che comincino col mettere su per lo meno una diecina di esposizioni tematiche per anno (tanto per cominciare!).

Claudio de Luca