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venerdì 9 Maggio 2025
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Un Comune deve sempre soddisfare chi si senta danneggiato

La sentenza n. 923 del 2014 della Sez. 1^ del Tribunale amministrativo delle Marche rammenta che l’operazione-‘glasnost’ vale anche in caso di lottizzazione. Se ne trae che il Comune ‘deve’ esibire i titoli edilizi che rilevino all’interno del programma approvato, ove mai uno dei proprietari coinvolti nell’iniziativa ritenesse di essere danneggiato dalla variante urbanistica adottata per il terreno attiguo al suo. Però c’è da notare che tale obbligo era vigente anche prima della novità rappresentata dall’accesso civico introdotto con la riforma Severino; e, ad imporlo, lo dicono le regole del testo unico dell’edilizia e quelle della legge sulla trasparenza.

Nel caso di specie è stato accolto il ricorso del confinante, comproprietario del lotto interessato dall’intervento edilizio, a cui l’ente locale aveva rifiutato di mostrare i documenti. È superfluo invocare le novità introdotte dal decreto legislativo n. 33 del 2013, attuativo della riforma di cui alla legge n. 190 del 2002, che non contiene soltanto una norma anticorruzione quand’anche disposizioni per migliorare il rapporto fra Palazzo e cittadini. In effetti è lo stesso decreto presidenziale n. 380 del 2001 a prescrivere che, dopo il rilascio di un titolo edilizio, deve essere dato l’avviso all’Albo pretorio e che chiunque ha la facoltà di accedere agli atti del procedimento, visionando sia quelli amministrativi sia gli elaborati progettuali. In sintesi: su di un progetto della lottizzazione non c’è ‘privacy’ che tenga. Nella specie il vicino aveva soltanto l’esigenza di verificare la presenza di eventuali abusi edilizi (o altre similari evenienze) tali da poter ledere la sua proprietà (e non importa se si tratti di un bene individuale o in comproprietà). Il che non implica la conoscenza di dati sensibili. A voler diversamente opinare si darebbe, per esempio, la possibilità agli autori di abusi edilizi di poter evitare qualsiasi controllo su impulso di parte, accampando un inesistente diritto alla riservatezza.

Attenzione, però: è necessario procedere a ‘denunciare’ subito l’eventuale abuso edilizio del vicino; altrimenti si rischia di non potere farlo più. L’istanza, volta a chiedere al Comune di verificare la regolarità delle opere, deve essere presentata entro sessanta giorni da quando si sia avuto conoscenza della segnalazione certificata di inizio attività del confinante: dopo scatta la decadenza perché la soggezione al termine generale deve ritenersi necessaria ai fini della certezza degli effetti prodotti dalla Scia.

Il principio appena descritto emerge dai contenuti della sentenza n. 302 del 2018, pubblicata dalla prima Sezione della Sede di Pescara del Tribunale amministrativo dell’Abruzzo. Se i tempi non fossero stati rispettati, non vi sarebbe più modo di ricorrere per la proprietaria dell’edificio, anche se il rivale stesse tirando su una mansarda tale da oscurare una finestra che dà luce ed aria all’immobile; per cui, dopo la sopraelevazione, il bagno della signora si trova ad affacciare nei vani di nuova costruzione. E nei locali scatta il sopralluogo dell’Asl, benché l’ordinanza contingibile e urgente del Sindaco del Comune sia stata poi annullata dal Tar dal momento che mancano i presupposti di urgenza ed i rischi per l’igiene pubblica per ingiungere i lavori al proprietario.

Contro le opere realizzate in tal modo potrebbe persino attivarsi una causa dinanzi al Tribunale civile. Ma la Scia non è direttamente impugnabile; e, in caso di inerzia, il contro interessato può soltanto agire contro il silenzio dell’Amministrazione, come è poi avvenuto nel caso di specie. Il punto è che tutto deve essere fatto in modo tempestivo, cosicché l’osservanza del termine di sessanta giorni risulta necessario per l’interesse pubblico e priva ad assicurare la certezza degli effetti all’azione amministrativa. Nel caso esposto, però, il tempo era abbondantemente scaduto.

Claudio de Luca