TERMOLI. Una delle cose peggiori dell’isolamento da coronavirus (che finisce – speriamo! – da oggi) è la mancanza del contatto con l’altro,
inteso non solamente come carenza della vicinanza umana quanto soprattutto come impossibilità di condividere i propri sentimenti, le proprie emozioni, il proprio vissuto. Siamo animali sociali; e, in quanto tali, siamo naturalmente portati a ricercare altri simili con cui condividere momenti della nostra vita. Non è solamente una questione di sopravvivenza. Il fatto è che, in tal modo, ci sentiamo di gran lunga più forti. Dal diario personale alla raccolta delle lettere inviate ai nostri cari, passando per l’album fotografico, non è solamente una questione di collezionismo o di ricordi. Mantenere un diario delle nostre giornate ci permette di rivedere, ‘a posteriori’, ciò che abbiamo vissuto nel passato, ma soprattutto di rivedere tutto questo con occhi nuovi. Pensate a quando da adulti avete rinvenuto un vostro diario personale, quello che magari tenevate quando avevate meno anni ed eravate innamorati. Pensate a quando rileggete con tenerezza quei drammi che un tempo vi parevano enormi. E’ come rivedervi in una nuova maniera. E la raccolta delle lettere e delle cartoline, così come le foto delle vostre vacanze, vanno a comporre la narrazione dei vostri affetti, delle vostre estati o di altri momenti che per voi sono stati importanti.
Narrare (dopo quasi due mesi di ‘detenzione domiciliare’) ha dei benefici anche nel momento presente, soprattutto nei momenti di difficoltà e di isolamento provocati dai provvedimenti volti a sedare il proliferare del coronavirus. Nel momento in cui vi fermate per ragionare su cosa racconterete, e come la racconterete, state già operando una riflessione su voi stessi e sulle giornate che state vivendo. Vi obbliga non solo a ragionarci sopra, ma nel pensare a come proporre questo al pubblico a cui state raccontando il vostro vissuto, osservandolo dall’alto, in modo più distaccato, di tale da fornire una nuova interpretazione. State ristrutturando l’esperienza e quest’ultima tornerà a voi, mostrandovi un nuovo modo di vedere la questione. In altre parole, raccontare la vostra esperienza vi permette di darle un nuovo senso ed un nuovo significato, andare al di là dell’impeto e dell’impulso del momento e, perché no?, anche aiutarvi ad emergere da una sensazione di sprofondamento e di impotenza.
In tutto questo il digitale offre un’opportunità che prima era ben più difficile da cogliere: potete raccontare le vostre esperienze ed i vostri vissuti in maniera più agevole. Grazie ad una comunicazione istantanea con le altre persone, possiamo rimanere in contatto con i nostri cari come fossero vicini a noi. Ma non solo: abbiamo anche la possibilità di riunirci e di condividere (nel senso di mettere insieme, in comune) i nostri vissuti e le nostre emozioni. In questo il digitale ci permette di creare una narrazione condivisa che, quindi, esce dalla narrazione soggettiva di me in quanto singolo,
inserendomi all’interno di un vissuto di gruppo.
Qui la percezione di ciò che sto vivendo cambia, perché si arricchisce delle visioni delle altre persone con cui sono in contatto o, meglio, con cui sto facendo gruppo, e non ci sentiamo più soli. Raccontando insieme i nostri vissuti diamo un nuovo senso agli incubi che stiamo vivendo, alla paura, all’incertezza di quello che ci aspetterà dopo. Soprattutto quando non abbiamo avuto modo di entrare gradualmente in questi cambiamenti, per essere stati buttati dentro come nella fossa dei leoni. E’ una narrazione differente da quella a cui siamo abituati sul Web, perché noi raccontiamo tutti giorni, ma lo facciamo come singoli e senza una struttura, realizzando più uno sfogo che una vera propria narrazione consapevole. Stiamo parlando di un’organizzazione di gruppo che al termine ci offrirà una visione collettiva della vicenda. Una narrazione il cui obiettivo a breve termine è “creare una fune condivisa di galleggiamento emotivo in questa emergenza dando voce a tutte/i attraverso ciascuna/o”, come ci dicono i ragazzi del progetto ‘Chiamatemi Ismaele’ dell’Università di Urbino, che ha come obiettivo quello di raccogliere le narrazioni dei cittadini della propria città per fornire un significato di gruppo.
Claudio de Luca


