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venerdì 21 Marzo 2025
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Pillole per tutti

LA FRECCIA ROSSA – Stazione ferroviaria di Termoli. L’arrivo del convoglio viene annunciato in perfetto orario. Ho trascorso il tempo guardando i viaggiatori. V’è chi preferisce godersi le comodità della poltrona di I classe, magari con le dita infilate nel naso (ma pur sempre offrendosi l’àlibi di un volto riflessivo). I più fastidiosi sono quelli che aprono una valigia, ne estraggono un panino sapientemente incartato e – nascondendolo per una buona metà nell’involto argentato – cominciano a mordicchiarlo con lo sguardo assento sinché, esaurito il “fiero” pasto, storcono il collo verso il corridoio, aspettandosi di vedere transitare il carrettino-bar per la desiderata bevutina postprandiale. Tra i vari tipi di viaggiatori, quelli che dormono sono i più sopportabili. Ma c’è pure chi, di colpo, afferra una cartella, ne estrae dei fascicoli e comincia a leggere, ad annotare ed a sottolineare, sentendosi addosso gli occhi dei compagni. Evidentemente suppone che quegli sguardi siano tutti pieni di considerazione:“Chi sarà? L’Amministratore delegato di un istituto di credito? Il Direttore di un Consorzio o il Presidente di una Società quotata in borsa".

VERSO L'INTERNO DELLA REGIONE – Quando, da Termoli, si sale su quella sorta di carrozza tranviaria, erede delle “littorine” del Ventennio, mi viene da pensare che quello molisano è un mondo piccolo contraddistinto dalla modestia degli agglomerati che, però. vantano una minuta storia. In queste comunità sopravvivono intelligenze vere (e modeste) che ambirebbero di non farsi riconoscere. Sono persone di notevole peso esistenziale che patiscono nel doversi misurare con i piccoli avvenimenti proposti dalla quotidianità. Soltanto le imprese di un tempo (i cavalieri, le armi e gli amori) eccitano la loro fantasia; mai la povera cronaca in cui affonda, ignaro e felice, l’ex-Contado borbonico posto nelle terre “di là dal faro”. Queste figure si rivolgono allo studio di “minuzie” di un’epoca che fu, buone solo per loro che preferiscono navigare in silenzio, avendo piena coscienza di quanto sia importante disvelare l’eredità tramandataci dai nostri 'patres'. Qualcuno dirà che questa gente viva fuori dal mondo. Invece questi esemplari umani si sono ritirati nel ridotto più giusto: quello rappresentato dal buono del mondo e dal vivere corretto.

QUEI TEMPI CHE FURONO – Sono tanti i Molisani pronti a decantare la bellezza dei tempi andati, quelli in cui – da Italici – si era più “antichi” dei Romani. Poi, un argomento tira l’altro, si finisce con il parlare della natura manomessa, delle stagioni che “non sono più quelle di una volta”, dei danni provocati dal fumo attivo e passivo, dell’inquinamento ambientale, della manipolazione dei cibi e delle bevande e della tecnologia che ci ha imposto il capestro, tramutandoci, da padroni in “servi”. Un tempo il mondo contadino era incorrotto, regolato (sui tempi lunghi dei vecchi tipi umani) da una sua peculiare economia, dai riti, dalla medicina e da credenze ancestrali. Ma è pur vero che donne ed uomini avevano vita corta, nonostante godessero di aria e di cibi genuini e naturali. Si invecchiava presto, la fatica era pesante, l’alimentazione monotona e la povertà viaggiava ai limiti della sussistenza; i cugini sposavano le cugine e si viveva (e si dormiva) in promiscuità. Nella sostanza, quell’Eden contadino altro non era che un inferno in terra. Ed allora, vogliamo ritornare al degrado materiale e psicologico di un tempo (dopo di averlo ammantato dei veli nostalgici del ricordo); oppure, divenuti artefici del nostro destino, avvertire finalmente che è giunta l’ora di evolvere al fine di modificare questa società a vantaggio di tutti?

Claudio de Luca