TERMOLI. Nel novembre del 2016 scrissi l’articolo “La mancanza del museo della civiltà marinara ha cancellato parte del passato di Termoli”, suggerito dalla presenza di musei in alcuni piccoli paesi della Regione con i quali si è voluto salvare il possibile di uno specifico passato.
Cinque anni dopo, nell’aprile di quest’anno, il tema è stato ripreso ma con una prospettiva diversa: se realizzare un Museo dovesse comportare problemi di varia natura, non ultimo quello di carattere finanziario, nulla vieta che si possa pensare a una Galleria Civica della Cultura Marinara.
Se la storia la si scrive ricorrendo alle fonti, un museo viene allestito con manufatti, reperti e opere d’arte e nella fattispecie di un museo sulla cultura marinara questo insieme è costituito da imbarcazioni, mezzi e modalità di pesca dei quali non è rimasto niente, neppure una nassa. E niente è rimasto dei costumi dei quali qualcosa veniamo a sapere dalle caroline d’epoca, come anche della marina di San Pietro e del porto. Se un album di famiglia con foto di almeno tre generazioni fa conoscere la vita della stessa e i cambiamenti avvenuti nel tempo, una galleria fotografica aprendo uno squarcio nel passato ci introduce, grazie anche alle schede didattiche, nella tipologia delle imbarcazioni, dei remi, delle vele, delle reti e di un mondo risalente a più di un secolo fa quando l’antico Orfanotrofio-Educandato si specchiava nel mare e alla scogliera seguiva la marina.
Le foto, tra archivi di famiglia, di amatori e di professionisti non mancano per mettere su, nell’idoneo contesto qual è il paese vecchio, un coinvolgente percorso storico anteriore agli Anni Cinquanta per far conoscere non soltanto la vita di gran parte della gente che viveva di mare ma anche per riportare alla memoria i legami mercantili di Termoli con i paesi che si affacciavano sul mare, compresi quelli dell’altra sponda dell’Adriatico, fino allo Ionio.
Una testimonianza di questa attività mercantile, praticata con grandi imbar-cazioni di legno a due alberi e durata fino alla prima metà degli Anni Cinquanta, ci è data dal timone del trabaccolo Lerna che campeggia all’ingresso del porto turistico: si tratta forse dell’unico reperto proprio per un museo. Poi… poi forse non c’è altro se non qualche pezzo di rete, ma non un’ancora o una lampada ad acetilene delle lampare.
Il due alberi, con la stiva colma di grano, avrebbe dovuto raggiungere Venezia ma il nubifragio del 12 agosto 1947, che arrecò gravi danni alla Città e al porto, lo affondò. Rinvenuto per caso durante il dragaggio del fondale per realizzare la struttura da diporto (2008) a deciderne recupero, risistemazione e installazione fu un illuminato ‘lupo di mare’ come Peppino Marinucci.
Diversamente sarebbe andato distrutto come accaduto alla lapide del Tenente medico Antonio D’Andrea, apposta nel 1905 sul muro del palazzo che dà sull’omonima via, andata distrutta incidentalmente qualche mese fa così come andò distrutta, un tre lustri or sono, quella di Marò Pasquale De Gregorio, datata 1902 e apposta alla destra dell’arco che immette nel Borgo Medievale.
Antonio Smargiassi
Storico termolese e Scrittore


