TERMOLI. Da capo della ‘’Ndrangheta a collaboratore di giustizia, Luigi Bonaventura confida la sua metamorfosi a don Benito Giorgetta
Qual è la linea che separa il bene dal male? Sebbene a primo acchito possa sembrare una domanda banale a cui tutti, basandoci sui nostri più profondi principi e valori morali, riteniamo di saper rispondere facilmente, la linea di demarcazione tra ciò che riteniamo giusto e ciò che riteniamo sbagliato, soprattutto quando si tratta di giudicare le azioni degli altri, è molto più vaga e sottile di quanto normalmente pensiamo. Diventiamo ancora più sicuri su chi siano i buoni e chi i cattivi quando ci troviamo a giudicare le azioni di persone che, compiendo errori talvolta madornali, sono finite nelle maglie della legge.
I nostri dubbi svaniscono letteralmente soprattutto quando il malvagio in questione ha fatto parte di un’organizzazione malavitosa, ancor di più quando ne è stato il capo. Luigi Bonaventura è stato tutte queste, dalla parte sbagliata della legge, spietato e capo indiscusso della cosca dei Vrenna-Bonventura – Corigliano – Ciampà. Ma senza conoscere i retroscena della sua vita (nato in una famiglia malavitosa e cresciuto con una mentalità mafiosa) si apprezzerebbe solo a metà la sua metamorfosi da spietato ‘ndranghetista a paladino della legalità. “Ha voluto aprire il suo cuore, come attesta lui stesso ad un uomo, amico e sacerdote – dice don Benito Giorgetta, autore e scrittore dell’intervista rilasciata dal collaboratore di giustizia – Mi ha fatto entrare nella sua esistenza (e i miei lettori con me) in questo terreno accidentato di quando lui, in una posizione apicale, è stato boss della ‘ndrangheta calabrese, per poi passare all’altra riva, cioè a quella del bene.”
A ricordarci che quella linea di demarcazione tra il bene il male non è così netta come pensiamo, ci ha pensato anche Papa Francesco durante la trasmissione Che Tempo Che fa: “Con i media guardiamo tutto, è una tragedia. Poi non guardiamo più, ma non basta vedere. È necessario sentire e toccare, perché toccare ci porta all’eroicità”. Un’esortazione, quella del Pontefice, che riecheggia con quanto ha scritto nella prefazione del libro “Passiamo all’altra riva” di don Benito Giorgetta, in cui ci spinge a riflettere in profondità prima di giudicare troppo ferocemente gli errori altrui. “Mai si deve ridurre l’altro al suo errore – scrive Papa Francesco nell’introduzione – errare è un episodio, un segmento della propria vita, non la condizione unica e definitiva. Occorre invece aiutare ogni persona, con amore, ad andare oltre il proprio errore.” Il Pontefice, con le sue parole, ha ben riassunto il messaggio che don Benito vuole trasmettere a tutti noi attraverso il suo libro. “Il titolo già dice tutto – afferma Giorgetta – Passiamo all’altra riva è un’esortazione che viene rivolta da Gesù ai suoi apostoli mentre sta percorrendo il mare sulla barca che poi verrà sobbalzata dalle onde e dal vento. Ma quando Gesù esorta gli apostoli ad andare all’altra riva non li manda, lui va con loro nella stessa barca. Lui dice passiamo all’altra riva. Questo ci insegna che ogni volta che incontriamo una sofferenza, una ferita, prima di tutto la dobbiamo soccorrere. Perché se vediamo un fratello nel bisogno e non lo soccorriamo è una omissione di soccorso.”
Il nostro compito come essere umani è perciò quello di aiutarci l’un l’altro, ancor di più quando l’Altro è in sofferenza o disagio abbiamo il dovere di curare o quantomeno tentare di alleviare i suoi problemi. Se non tutti abbiamo le conoscenze mediche per curare il corpo delle persone ferite, ognuno di noi possiede le conoscenze giuste per aiutare gli altri moralmente. La postfazione è stata curata da don Luigi Ciotti, il quale ha messo in rilievo la dimensione civile della vicenda narrata nel libro: “Don Ciotti ha sposato la causa della legalità – racconta don Benito – lui che ha fondato Libera per metterla al servizio della legalità, ha sposato questa causa dando la sua firma. Anche lui dando l’esortazione a Luigi Bonaventura che da me è stato intervistato.” Nel ricordare l’incontro con l’ex-mafioso, Giorgetta rivela che: “Luigi si ricorda spesso di Termoli e si commuove ogni volta che ne parla, perché ha trascorso più di 7 anni della sua vita qui in anonimato, evidentemente perché era qui sotto copertura. Come sappiamo poi dovette andar via perché la sua vita e quella della sua famiglia erano minacciate. Mi sono incontrato con lui non quando era qui a Termoli, ma quando si è trasferito nella città dove si trova attualmente. È lì che si è prestato a rilasciarmi una sua intervista.”
“L’obiettivo di questo saggio è quello di parlare del mondo della detenzione, di coloro che si vogliono convertire e che vogliono risorgere dalle proprie ceneri – conclude in tono entusiasta lo scrittore – È un invito alla speranza, perché come dice anche il quadro che forma la copertina: la speranza nella tempesta. Nella tempesta della vita c’è sempre la speranza di un oltre. Bisogna saper andare oltre i limiti, oltre anche il male che si è compiuto. Poi è uno sguardo di attenzione al mondo del volontariato che vive e abita nel carcere. Ed è uno sguardo di attenzione nei confronti dei collaboratori e dei testimoni di giustizia che è una categoria di persone sconosciute, dimenticate e che comunque bisogna valorizzare”.