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sabato 2 Agosto 2025
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Storie del Paese, 43 anni dalla morte del giornalista molisano Mino Pecorelli

Cosa racconta, a 43 anni dalla morte, la vicenda del giornalista molisano Mino Pecorelli “” Il 20 marzo del 1979, 43 anni fa dunque, venne assassinato, con tre proiettili nella schiena ed uno nel viso, il noto giornalista di Sessano del Molise Mino Pecorelli. L’agguato era stato organizzato nei pressi della redazione del ‘suo’ settimanale. In concomitanza con tale data, la Procura della Repubblica di Roma ha ritenuto opportuno riaprire le indagini sulla sua morte al fine di far luce sulla vicenda. È noto che il personaggio era in contatto con i Servizi segreti e che condivideva ottime (ed anche pessime) relazioni, con gli ambienti politici. Descritto come perennemente indebitato, pare che recuperasse ‘liquidi’ soprattutto grazie alle sue cronache politiche. Coraggioso, e pauroso, a seconda dei casi, era un sincero anticomunista, tesserato con la P2 (sodalizio di cui era intestatario della tessera n. 1750). I tempi che allora correvano lo resero protagonista di tante gazzette. Il Paese viveva la guerra fredda in Europa, e di tante vicende il Nostro seppe riuscire a diventare protagonista come ‘fronte man’. Cronista di fatti, concreti o magari addomesticati, non poté evitare di diventarne vittima; e sicuramente, proprio come tale, fu sacrificato.

Fu protagonista degli Anni Sessanta, quelli del cosiddetto Centrosinistra che, poi, nel decennio successivo, avrebbe dato vita al ‘compromesso storico’. A contrastare ed a sponsorizzare tali apparentamenti non furono solo gli elettori e manco solo i partiti. All’epoca leggere i resoconti di “OP”, acrònimo di ‘Osservatore politico’, significava imboccare un sentiero di guerra. Quell’agenzia giornalistica, poi diventata settimanale, descriveva i partiti come macchine da guerra, protagonisti di conflitti veri, pesantemente guerreggiati, che si combattevano in Europa ed in Italia. Fu quella l’epoca delle stragi consumate nelle banche e nelle stazioni ferroviarie; fu il tempo delle tangenti petrolifere e quello sulle armi, delle testate giornalistiche comprate e vendute, dei Servizi deviati e paralleli, delle bande armate, rosse o nere che fossero (manovrate – si diceva – da centrali di spionaggio dell’Est e dell’Ovest). Era questa l’Italia riveduta da Mino Pecorelli, quella che visse persino il cosiddetto «Affaire Moro». Di tale vicenda il giornalista molisano capì subito il come, il perché, il “precisamente chi”, riuscendo persino a focalizzare il «cosa potrebbe succedere ancora». Insomma il Direttore di ‘Op’ intuì che, dopo la morte di Aldo Moro, la lotta politica sarebbe sconfinata in ben altro. E così, una cosa tira l’altra, la Penisola transitò dalle vicende della ‘P2’ a quelle di ‘Mani pulite’, dai fatti di Sigonella alla morte di Bettino Craxi in Tunisia.

Poi arrivarono politici nuovi (Berlusconi, Prodi, D’Alema, Rutelli, giù giù fino ad oggi: ai Di Maio, ai Conte, ai Boccia, ai Cuperlo, ai Tajani, ai Salvini ed ai Casaleggio); le vicende si fecero sempre più povere di contenuto storico, cosicché dalla guerra fredda transitammo ai conflitti d’interessi, alle Bierre rosse e nere; e, dopo i lanci di monetine, alle contumelie tra 5stelle). Il direttore di ‘OP’ pagò con la vita già un anno dopo il rapimento di Aldo Moro. Saldò il proprio dèbito sicuramente per l’uno o l’altro dei suoi articoli, soprattutto per quelli in cui scriveva di tangenti, di Servizi segreti e di Massoneria, di terroristi e delle spregiudicatezze di vari politici. Ma doveva ancora venire ben altro, come sappiamo ed abbiamo visto. Perciò, seppure pulizia non vi sia stata, per lo meno ci resta “l’essenzialità della prosa di Pecorelli, la logica dei suoi argomenti, la qualità delle sue informazioni, la sua passione politica, il suo tocco umoristico”. Pecorelli creò un nuovo genere giornalistico, quello da cui è nata la cosiddetta «questione morale». Ai tempi della prigionia di Moro scrisse:”I terroristi hanno dichiarato guerra ad uno Stato che ha offerto l’altra guancia. Anche oggi, mentre tengono in ostaggio il massimo statista italiano, presunti colleghi suoi ci fanno assistere al solito balletto dei sepolcri imbiancati: Zaccagnini che piange e trema; Leone che commemora i caduti, ritornando a sedere; i sindacati che hanno provocato la crisi sociale ed economica ed ora chiamano a raccolta oceaniche ed inconsapevoli masse di salariati e assenteisti”. La sua vicenda vitale racconta che è nato proprio sul sequestro del politico levantino il primo Governo italiano di segno eurocomunista.

Claudio de Luca