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domenica 23 Marzo 2025
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La rivoluzione nell’auto vista da un operaio termolese: «Elettrico, futuro o imposizione?»

TERMOLI. «Auto elettriche, futuro o semplice imposizione?», il dipendente Stellantis Domenico D’Ascanio torna a parlare della transizione energetica, col punto di vista di chi lavora sulla linea nello stabilimento di Rivolte del Re.

«Una notizia è rimbalzata tra i notiziari dei giorni scorsi, le pressioni per bloccare lo stop europeo alla vendita di nuovi veicoli a diesel e benzina entro il 2035 hanno funzionato. Il voto sulla misura da parte del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) avrebbe dovuto essere una mera formalità, dopo l’accordo raggiunto tra Consiglio dell’Unione e Parlamento europeo, ma lo sforzo contrario di Italia, Germania, Polonia e Bulgaria ha costretto il Comitato a rinviare la votazione. “Il Coreper ha deciso di rimandare la votazione finale sullo stop alla vendita di veicoli a diesel e benzina nel 2035, spostando l’incontro previsto il 7 marzo 2023 a una prossima riunione del comitato. Il Coreper affronterà la questione a tempo debito”, ha scritto su Twitter Daniel Holmberg, portavoce svedese del Coreper. In Italia ovviamente la decisione è stata accolta con grande soddisfazione dalla Federmotorizzazione, che raccoglie gli imprenditori attivi nella vendita di veicoli e parti di ricambio. Il presidente Simonpaolo Buongiardino ha rivolto “un plauso” al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che “ha guidato la nostra rappresentanza” e “all’azione di Regione Lombardia” per aver contribuito a “creare un gruppo” di paesi europei “contrari allo stop”. Ma è veramente del tutto una buona notizia? Proviamo insieme ad analizzare la situazione e a trarre le conclusioni facendo qualche premessa.

Cominciamo con il dire che agli italiani non interessano le auto elettriche, non ci piacciono e quindi non le compriamo, per questo siamo il fanalino di coda in Europa.

Nel 2022 in Italia su 100 auto nuove vendute meno di 4 erano elettriche, in Francia più di 12 in Germania 18 e pure in Ungheria hanno comprato in proporzione più auto elettriche rispetto a noi.

Ma il dato più anomala è che l’Italia è l’unico paese europeo che decresce, si vendevano più auto elettriche nel 2021 circa 67mila e fronte dei 60mila del 2022, se continuiamo così diventeremo irrilevanti come mercato.

Ma è “normale” diremo noi, costano troppo chi se le può permettere oggi in Italia, e poi come si fa a ricaricare se uno non ha nemmeno un garage?

La verità è che da noi le auto elettriche non le comprano neanche gli italiani ricchi che cambiano macchina ogni due anni spendendo ottanta, centomila euro e che hanno ovviamente un garage dove potrebbero ricaricare da casa rimanendo in pantofole.

Dunque il problema è un altro e che da noi si sta montando una contrarietà di principio nei confronti di questa tecnologia, c’è una diffidenza diffusa alimentata e fomentata a più livelli.

Le conseguenze sono molto più pericolose di quello che si potrebbe pensare perché se da un lato è vero che l’auto elettrica non può essere per tutti né oggi e né domani e che ci vorrà del tempo, ma non prepararsi a questa frontiera della mobilità o addirittura remare contro, crea altri problemi al mercato oggi ma soprattutto all’economia del paese in prospettiva.

Per cominciare, se circolano poche auto gli investimenti collegati allo sviluppo del mercato rallenteranno, che senso può avere per un’azienda installare di corsa colonnine di ricarica se ci sono poche auto elettriche in giro?

Dunque lo sviluppo infrastrutturale e quello economico legato alla transizione andrà avanti lentamente, le case costruttrici di auto saranno meno interessate ad agire velocemente per colmare il gap tecnologico con l’oriente e ad investire in maniera rilevante in quella direzione, crescerà più lentamente l’interesse per installare pannelli fotovoltaici perché la diffusione delle auto elettriche è indirettamente un incentivo a produrre autonomamente l’energia, che serve per ricaricare gratis a casa e ancora si svilupperà più lentamente il know-how della filiera come ad esempio per gli autoriparatori che avendo poche auto elettriche da riparare la spinta a studiare e a specializzarsi su questa tecnologia sarà più debole dunque ci saranno poche aziende che ripareranno batterie oppure che le ricicleranno.

La politica dal canto suo vedendo che le auto elettriche sono poche avrà meno interesse a recuperare i ritardi che ci sono tra le colonnine e le altre infrastrutture perché di fatto l’auto elettrica nel breve periodo non porta voti.

Questo atteggiamento che potremmo definire “protezionista” inoltre è fuori luogo soprattutto alla luce del fatto che proprio l’Italia è stata scelta come paese protagonista della transizione energetica tramite la decisione di installare a Termoli una Gigafactory che contrariamente a quanto molti pensano non è affatto cosa da poco, perché le batterie delle auto elettriche non sono dei semplici serbatoi dove si andrà a immagazzinare energia, ma sono l’elemento più importante e tecnologicamente complesso e avanzato di una EV è lì che si va a definire l’affidabilità di un veicolo le sue prestazioni, la sua longevità negli anni e la sua qualità generale quindi.

Volendo fare un parallelismo potremmo paragonare la batteria di una vettura elettrica al motore di una endotermica.

La Cina nel frattempo non sta a guardare e stiamo per assistere allo sbarco in grande stile delle auto EV cinesi. Uno sbarco che avverrà, a quanto pare dal mare. Perché tutte quelle vetture dovranno essere spedite e trasportate nei nostri porti. La Cina ha pensato anche a questo. Si spiega dunque perché è via via aumentata la presenza cinese nelle infrastrutture marittime strategiche europee.

A gennaio, in occasione del Consumer Electronic Show di Las Vegas il Ceo di Stellantis, Carlos Tavares ha ricordato che con le auto elettriche cinesi il Vecchio continente intraprenderà molto presto «una lotta terribile» per la sopravvivenza dei propri marchi e ha quindi chiesto che i governi europei applichino dei pesanti dazi doganali per salvaguardare le case automobilistiche europee e i posti di lavoro. A detta di Tavares si possono prendere due strade. “Se si decide di mantenere aperto il mercato europeo, non abbiamo scelta: dobbiamo combattere l’industria cinese direttamente. E questo è un problema che riguarda l’intera filiera automotive”.

Senza troppe acrobazie interpretative, il Ceo di Stellantis descrive uno scenario in cui potrebbero andare in fumo migliaia di posti di lavoro. In assenza di interventi l’industria potrebbe essere costretta a “decisioni impopolari come una massiccia riduzione della capacità produttiva e la delocalizzazione delle fabbriche in aree più convenienti”.

Le vetture EV cinesi infatti potrebbero rivelarsi vincenti per due motivi: anzitutto la Cina investe da più tempo sulla nuova tecnologia e si è accaparrata con lungimiranza le principali riserve di terre rare, questo la rende paradossalmente più pronta dell’Europa ad affrontare il bando degli endotermici deciso proprio da Bruxelles; in secondo luogo, con l’inflazione che sale e la disparità sociale che aumenta, erodendo la fascia di popolazione che rientra nella classe media, sempre più consumatori con ogni probabilità si rivolgeranno a prodotti economici. E le auto elettriche occidentali, si sa, costeranno parecchio…

In pratica nel lungo periodo sembrerebbe che Pechino si stia preparando a fare con le auto elettriche quello che già ha fatto con gli smartphone, interessando inizialmente gli acquirenti che potremmo definire di “basse pretese” per poi via via lanciare sul mercato prodotti di fascia più alta.

Sarà interessante scoprire quali strategie attuerà l’Europa per salvaguardare il suo comparto produttivo e sembra chiaro che per il nostro paese nell’immediato attuare strategie di protezionismo possa sembrare la scelta migliore per difendere i nostri interessi, ma la conseguenza è che le persone alla fine non ci capiscono nulla, nel dubbio non prendono decisioni e si rischia di bloccare l’evoluzione naturale del paese, la certezza è che essere irrilevanti nello sviluppo della mobilità elettrica in Europa non ci conviene.

La direzione è tracciata e non cambierà, bisognerà trovare i giusti compromessi per non far perdere competitività ai produttori europei, ma diffondere nell’opinione pubblica il dubbio che l’auto elettrica non abbia senso e che sia addirittura una “fregatura” non solo è falso ma è controproducente per tutti. Dunque essere prudenti è sacrosanto, stare fermi non ci conviene, ma spingere addirittura per mettere la retromarcia è un suicidio. 

Inoltre al di là delle imposizioni che arrivano da Bruxelles dobbiamo ricordare che se siamo arrivati a questo punto è perché alcuni scienziati ci hanno dimostrato senza ombra di dubbio che continuare a bruciare idrocarburi non solo è dannoso per il pianeta ma anche per l’aria che ogni giorno respiriamo.

Riflettendoci un attimo… quanto tempo possiamo stare senza mangiare? Forse una settimana. Quanto senza bere? Forse due giorni… e quanto senza aria?

Quando si alza il vento del cambiamento gli stolti costruiscono muri per proteggersi mentre i saggi costruiscono mulini a vento».