GUARDIALFIERA. Abitualmente mi occupo di “letteratura” ricadente nell’ambito poetico/narrativo o della saggistica. Poco di Arte e, ancor meno, di archeologia. Questo Bollettino n. 16 del 2021, però, è degno di considerazione per il fatto che riporta alla mente un monumento a me ben noto per averlo osservato tante volte, fino alla metà degli anni Settanta, quando fu inghiottito dalle acque del Lago di Guardialfiera. Scendendo in auto o in autobus verso il fiume Biferno lungo la strada provinciale n.73 che collega Palata (e comuni limitrofi) a Guardialfiera (per poi snodarsi verso Campobasso) il rudere del ponte “di Annibale” (era il nome più comune), risultava ben visibile – a sinistra della strada e a destra del fiume – ancor prima di raggiungere la massima vicinanza.
Malinconico e solitario, segno vitale d’un tempo remoto, era lì a sfidare le piene del Biferno durante la stagione invernale, per poi ricadere nelle secche del letto fluviale durante le stagioni successive. È affiorato qualche volta in questi ultimi decenni soltanto in caso di abbassamento del livello d’acqua nel lago artificiale, dovuto a persistente siccità estiva.
Ora, dalle pagine del Bollettino Unione Storia e Arte n. 16/2021, egregiamente curato da Lorenzo Quilici, possiamo saperne molto di più, in merito alle sue coordinate spaziali e temporali.
L’autore, esperto ricercatore di monumenti antichi, ci istruisce anche sulla storia del “Ponte di Barrea”, sul fiume Sangro, nel Parco Nazionale Abruzzo, Molise e Lazio; un ponte dell’epoca romana, sicuramente, “che non esiste più, perché minato e distrutto nel 1944 durante la ritirata tedesca”, precisa l’Autore del saggio. Restano “pittoresche immagini fotografiche” e costituiva “l’asse viario che ne percorre le vallate”, per secoli percorso di transumanza Pescasseroli-Candela (provincia di Foggia, in Puglia), “fino alla costruzione del ponte borbonico che lo affiancava, nel 1837”).
Dell’antico ponte romano oggi non resta “assolutamente più nulla”. Da un calcolo approssimavo si può stimare che il varco originario fosse di 16,5 metri, e la larghezza transitabile di 3,5 m., da permettere, oltre al transito delle greggi, anche quello dei “carri a traffico alternato”.
Quanto al materiale impiegato per l’esecuzione dell’opera, si può dire che il mastro muratore – del tutto ignoto – facesse ampio uso del calcare bianco e del calcare nero; quest’ultimo, non presente in loco, è prodotto d’importazione dalla valle di Castel di Sangro.
Più rigorose e dettagliate le osservazioni riguardanti il ponte di Guardialfiera, in Molise, per la cospicua presenza del massiccio manufatto, visibile fino al 31 gennaio 1977, e rilevato anche dall’insigne studioso di Casacalenda Giambattista Masciotta (1864-1933). Era noto alle popolazioni locali come “ponte di Sant’Antuono”, l’Abate anacoreta nato a Qumans il 12 gennaio 251 e morto nel Deserto della Tebaide (Egitto) il 17 gennaio 356, all’età di 105 anni.
Un ponte più antico, sotto la giurisdizione dei monaci Antoniani, era via di transito per la popolazione del basso Molise ubicate sulle colline sovrastanti le rive del fiume Biferno. Probabilmente danneggiato o “abbattuto” intorno al terzo decennio del XIII secolo dalla forza torrentizia delle acque del Biferno, fu “ricostruito” da mastro Giovanni di Guardialfiera, al tempo del re Carlo I d’Angiò (Parigi, 21 marzo 1226 – Foggia, 7 gennaio 1285), figlio del re di Francia, Luigi VIII il Leone e di Bianca di Castiglia; fu re di Sicilia dal 1266 fino alla sua cacciata dall’isola nel 1282 in seguito ai Vespri Siciliani).
Lorenzo Quilici, indubbiamente molto esperto negli ambiti dell’architettura e dell’ingegneria civile, offre al lettore un quadro ampio e preciso della tipologia strutturale dei due ponti in muratura – di Barrea e Guardialfiera – costruzioni architettoniche tipiche del passato, fino agli anni Trenta del secolo scorso; anni che segnano l’avvento, in Italia, di erezioni di ponti e edifici civili in calcestruzzo armato o conglomerato cementizio armato (comunemente chiamato cemento armato, costituito da una miscela di cemento, acqua, sabbia e aggregati lapidei, come la ghiaia, a cui si aggiungono tondini d’acciaio).
Grazie all’analisi dei componenti strutturali e architettonici fatta da Quilici, abbiamo tutto quanto è dato sapere di questi manufatti funzionali alla viabilità regionale e interregionale nei tempi andati, alla transumanza e al passaggio di pellegrini diretti ai santuari di Monte Sant’Angelo, di San Nicola di Bari e in Terra Santa. Sono resi percettivi e commensurabili basamenti, spalle, pile, archi, testate, ghiere, avambecchi e retrobecchi, intradossi e estradossi, campata laterizia, luci e altezza degli archi, pavimento e larghezza della viabilità… Un lavoro scientifico, da certosino, valido a proiettare nel futuro la “memoria” di un monumento che, come giustamente avverte l’Autore, “rappresenta un mito per Guardialfiera”.
Grazie, dottor Quilici; il suo saggio resterà “unico”, “magnifico” e “imperituro” nell’ambito della ricerca storica finalizzata alla “riscoperta” di simboli leggendari dell’Abruzzo e del Molise. Antonio Crecchia.