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lunedì 4 Agosto 2025
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«Lettera alla mia città dopo un mese dalla tragedia di Pozzo Dolce»

TERMOLI. Tra i momenti più significativi della manifestazione di venerdì sera c’è stata la lettera letta da Antonio De Lellis, proprio in avvio della fiaccolata, durante i contributi sul sagrato della chiesa di Sant’Antonio, firmata da Giuseppe Dardes, che si rivolge alla sua città come appartenente alla Fio.PSD, Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, è una associazione che persegue finalità di solidarietà sociale nell’ambito della grave emarginazione adulta e delle persone senza dimora

Trae la sua origine, nel 1985, dall’aggregazione spontanea e informale di alcuni operatori sociali di servizi e organismi che si occupano di persone senza dimora ma è nel settembre del 1986 si decise la formalizzazione del Coordinamento del Nord-Italia per i senza fissa dimora: si stese una Carta Programmatica e si raccolsero adesioni scritte all’iniziativa presso la segreteria di Brescia

Nel 1990 si costituisce formalmente in associazione

Aderiscono alla fio.PSD Enti e/o Organismi, appartenenti sia alla Pubblica amministrazione sia al privato sociale, che si occupano di grave emarginazione adulta e di persone senza dimora

 

Gli obiettivi della fio.PSD:

promuovere il coordinamento delle realtà pubbliche, private e di volontariato che operano in favore della grave emarginazione adulta e delle persone senza dimora sul territorio nazionale

sollecitare l’attenzione al problema nei confronti di tutti gli interlocutori sociali, attivare momenti di studio, di confronto e di ricerca sociale, perseguendo l’obiettivo della maggiore comprensione del fenomeno e dell’elaborazione di metodologie e strategie di lotta all’esclusione sociale

promuovere la diffusione delle buone prassi e delle acquisizioni metodologiche di intervento, attraverso l’organizzazione di seminari, convegni, iniziative di formazione e la redazione di una pubblicazione specifica e specializzata nel campo dell’emarginazione grave adulta.

Lettera alla mia città dopo un mese dalla tragedia di Pozzo Dolce.

Cara Termoli, un mese fa mi hai riservato un’amara sorpresa: ritrovarti tra gli oltre 200 comuni del nostro paese dove 390 persone senza dimora hanno perso la vita quest’anno.

Si tratta di morti speciali perché ci costringono a uscire dalla retorica dei “poveri invisibili”.

Con questa etichetta confiniamo le persone senza dimora in un non-luogo che li rende irraggiungibili alla nostra attenzione e al nostro potenziale aiuto. Ma l’invisibilità sembra esprimere più il nostro “desiderio” di osservatori che la condizione effettiva di queste persone.

Chi finisce per strada è molto visibile, esposto e vistoso tanto da essere scandaloso, da far girare molti dall’altra parte: nel desiderio che sparisca, che diventi, appunto, invisibile.

L’uomo di Pozzo Dolce non era invisibile.

È morto in pieno centro, a pochi passi dal corso, vicino ad una chiesa e a pochi metri dalla tua spiaggia più apprezzata.

Il vero tema è che quell’uomo con la sua tragica morte rinnova una domanda a cui non riusciamo o vogliamo rispondere: com’è possibile accettare che nel 2023 delle persone possano vivere in condizioni così disumane? Perché non ci scandalizza che uomini e donne possano essere esposti a freddo, malattie, violenza così intensi e ricorrenti da esporli ad un altissimo rischio di perdere la vita?

Per eludere una risposta che chiama in causa la nostra umanità, la pietà e l’empatia arriviamo persino a distorcere la realtà. Così si evoca la libera scelta, col tentativo di convincere l’opinione pubblica che per scelta si lasciano tetto, calore, lavoro, relazioni d’amore ed amicizia per una vita in cui si muore in media a 46,9 anni, contro gli 81,3 anni dell’età media di morte in Italia, e in cui il tasso di suicidi è dell’8% a fronte dell’1% come causa di morte fra la popolazione italiana.

Ma c’è di più: distinguere donne e uomini in grave emarginazione in meritevoli e non meritevoli. Così chi è ostaggio di traumi, dipendenze patologiche, sofferenza psichiatrica acuta può essere classificato “resistente all’aiuto” o “non collaborativo” e abbandonato al suo destino.

In un surreale rovesciamento dei ruoli il problema non sono i servizi inefficaci o la comunità poco accogliente e solidale ma i poveri che non fanno abbastanza per meritare il nostro aiuto oppure a lo rifiutano perché hanno scelto di autocondannarsi a morte.

A distanza di un mese quella tragedia rinnova una domanda a cui un’intera comunità non può sottrarsi: Termoli che città vuoi essere o diventare? Quanta disumanizzazione sei disposta ad accettare? Quanta sofferenza riesci a tollerare tra le tue case, le vie del centro, le tue celebri spiagge?

Alle soglie di un nuovo anno ti consegno due auguri.

Quello di non lasciar cadere nel vuoto la domanda che questa morte tragica e visibile ti ha consegnato e quindi di scoprire che per contrastare la forma più alta e grave di emarginazione – quella di non avere una casa – è sufficiente ripartire proprio da lì: dal primato dell’inserimento in casa, combinato con un qualificato supporto sociale e con un appassionato lavoro di comunità.

E quello di valorizzare e sostenere il servizio di chi non si arrende alla disumanizzazione della vita in strada e tesse, giorno dopo giorno, trame di prossimità per non escludere dall’incontro, dall’ascolto, dall’abbraccio, dai sorrisi, dalla convivialità chi non per colpa ma per le ferite della sua storia si sottrae o viene escluso dalla comunità».