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martedì 18 Marzo 2025
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“Abbiamo aperto uno spazio di dignità”

TERMOLI. C’è chi è in Italia da vent’anni e si sente ancora etichettata come straniera. C’è chi nel volontariato con le persone senza dimora ha trovato una strada per uscire dalla depressione e un nuovo ruolo nella comunità. C’è una donna che lavorava a Termoli con un buono stipendio ma non è riuscita a trovare una casa dopo aver girato tutte le agenzie immobiliari della città, perché è nera! Alla fine ha dovuto lasciare il lavoro, la sera – senza macchina – non sapeva come rientrare a casa in un paese vicino. C’è chi si sente frustrato dalla mancanza di risposte pubbliche rispetto al problema dei senza casa. C’è chi, nonostante tanti anni di lavoro sociale, confessa una paura – solo a volte superata – nei confronti di chi vive in strada, e a volte sotto l’effetto di alcol e sostanze sembra una minaccia. C’è chi confessa di essere arrabbiata e angosciata dall’indifferenza che con cui ha reagito la popolazione di Termoli alla morte di una persona nel rogo di Pozzo Dolce: “se fosse morto un cane avrebbe suscitato più indignazione”.

C’è chi donando il proprio tempo agli altri ha scoperto che quello è un tempo ritrovato, non perduto. C’è chi dice che in realtà sarebbe facile in una città come la nostra offrire il supporto necessario a tutti, che i numeri non sono così grandi, ma manca spesso la volontà. C’è chi è stanca del pietismo delle persone di fronte a una malattia o a una condizione di disagio, e vuole solo riconoscimento e dignità. C’è chi dice che se ciascun abitante si prendesse cura degli altri senza restare indifferente non saremmo in questa situazione.

C’è chi lamenta che i proprietari tengono sfitti gli appartamenti, piuttosto che affittarli alle tante persone che stanno cercando una casa. C’è chi vorrebbe a tutti i costi tenersi il lavoro, ma non può farlo se al dormitorio sono previste solo tre settimane di accoglienza e poi si torna in strada; come si fa a fare una doccia, a riposare, dopo una giornata da bracciante, da lavapiatti, da badante?

E poi c’è chi fino a pochi mesi fa dormiva in un angolo di quella piazza e oggi ci racconta che sta per fare l’esame di A1 di italiano. C’è chi è rimasto fuori dall’accoglienza in pieno inverno e oggi vive in una casa vera, grazie ai progetti di housing che lentamente e con fatica iniziano a realizzarsi anche nel nostro territorio. C’è chi dalla strada oggi ha cominciato un percorso di recupero. Ma che città troveranno queste persone alla fine del loro percorso? Chi saranno i loro amici, le loro reti sociali, quali saranno i luoghi della socialità che gli consentiranno di sentirsi parte della comunità e non ricadere nelle loro debolezze, nella solitudine?

Abbiamo aperto uno spazio, ci siamo messi in cerchio e ci siamo ascoltati. Sono solo chiacchiere che non portano da nessuna parte? Forse qualcuno lo penserà. Ma si è avviato un processo, che dovremo fare necessariamente insieme. Non sappiamo ancora bene dove ci porterà, né come. Quello che sappiamo per certo è che vogliamo una città più inclusiva, a misura di persona, una comunità che sa prendersi cura di tutte e tutti, a partire dai più fragili.

È un po’ un esperimento, non siamo abituati a stare in un dibattito tutti alla pari, senza nessuno che ci dica cosa fare, dove andare. Ci vorrà tempo, e vogliamo prendercelo. Abbiamo poche risposte e tante domande, questioni che vogliamo e dobbiamo affrontare collettivamente, giorno per giorno nelle nostre attività, ma anche nelle prossime assemblee.

Partiamo però da un punto fermo: vogliamo rimettere al centro i temi della disuguaglianza, dell’esclusione e della marginalizzazione, rimettere al centro le persone con i loro bisogni e i loro desideri.

Per questo non finisce qui. Ci rivediamo il 29 febbraio.

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