PALATA. Giorni ventosi, piovosi, nebbiosi in questo febbraio bisesto; mese breve ma che sfavilla per me anche un mattutino di cristallo senza dimensioni. Oggi, sopra il mio terrazzo, respiro il sublime! Tuttavia smanio per il desiderio di scandagliare altri angoli e luoghi dell’anima, sparpagliati nel nostro inesplorato e fantastico habitat. Interpello lo Spirito, quello che non la smette di tenermi in lista, e Gli propongo, per una volta, di tener la mano sua sul mio volante e condurmi – alla maniera di Susanna Tamaro – laddove “mi avrebbe portato il cuore”. E, a volo: eccoci! Trova parcheggio sul pianoro antistante il Santuario di “Santa Giusta” a Palata, lì, in mezzo a un diadema di colori, in una prateria incomparabili meraviglie, su un palcoscenico multiforme di gloria naturistica e accarezzati da un’aria sveglia, motivata, desiderosa di catturare l’intimo d’ogni pellegrino, visitatore, viaggiatore, viandante.
Ora che, ormai vecchio e rimbambito, ho addosso il peso esagerato dei miei tanti giorni, interviene “terzo Dono” dello Spirito quello del “Consiglio” che mi esorta a far ritorno a Palata per rivedere, rivivere, sperimentare emozioni, sentimenti, tracce del mio passato, in quei posti dove per decenni ho vissuto, goduto, patito, navigato sotto ogni acqua e impeti di vento; per percepire, ora, un silenzio pervaso di echi; per ragionare un po’ senza parole e per gustar davvero il sapore del divino.
Per dieci anni il Santuario è rimasto chiuso alla devozione dei fedeli. Quasi che – per un tempo così prolungato – l’ultima generazione avrebbe potuto rischiare la perdita di un incanto ed il valore della sua appartenenza.
Don Elio Benedetto – parroco a Palata da oltre mezzo secolo, in splendida fusione d’intenti con il suo popolo, durante questi dieci anni di restauri profondi, di lavori discontinui, di lenti incantesimi, di illusioni e delusioni, anche sotto macigni di scoramenti – non ha guardato solo il nero, che pure è presente tra i colori della vita, ha invece scovato fermezze, ostinazioni: ha chiamato in servizio tutte le virtù delle montagne. Si è tenuto risolutamente collegato al cielo, con il filo divino dello Spirito. E, come il Verbo si è fatto carne, qui lo Spirito qui si è fatto sostanza attraverso una bella realtà compiuta dalla sensibilità e dal sostegno concreto della Diocesi di Termoli-Larino, nella persona di mons. De Luca, dalla Regione Molise e dalla mirabile generosità dei fedeli.
E quel tal Spirito non cessa di librare su di noi. Si distende e accende di vita interiore le ombrose navate d’ognuno di noi, per farle tempio di un Dio attento e generoso.
D’altra parte, “ab immemorabile tempore”, proprio dentro questa chiesetta – or ora restaurata, ed eretta intorno al XV secolo nel tripudio bucolico di queste campagne sannite – si celebrava e si celebrerà all’alba, “in sempiterno” una Novena. Non quella facoltativa di Natale o dell’Immacolata. No! Si declamava quella stessa Novena unica, la sola suggerita da Dio: quella officiata da Maria, quando dopo l’Ascensione di Gesù, era radunata in preghiera con gli apostoli nel Cenacolo, in attesa della Pentecoste.
Bene. Quel mattino, dinanzi alla porta della chiesa, esprimevo più o meno queste cosucce a Carolina – venuta con me – la quale, per la grazia corroborante del Matrimonio Sacramentale, riesce a sopportarmi ancora da 62 anni! Legge in un lato dello stipite le istruzioni per l’uso, e azione correttamente il chiavistello. Si spalanca la porta. È uno straripamento di stupori; patisco il panico del mirabile. Ammiro la trasfigurazione del tempio: l’omogeneità, l’armonia architettonica, i caratteri estetici, l’effetto plastico, l’apparato liturgico accuratamente conforme alle norme postconciliari. Ingegnosamente simpatico persino l’angolo per gli “ex voto”. La chiesa raggiunge il culmine dello splendore. C’è nel tempio tutto l’ingrediente per sillabare il Vangelo, per diradare il buio interiore e per rinvenire nel segreto ciò che sembrerebbe cifrato e sotterrato nel lampante. Sembra lì di dover accettare le proporzioni di Dio e tentare di aderirvi col coraggio della ragionevolezza.
Mi torna in mente qualcosa che Giovanni Paolo II nel 1985 disse agli artisti a Bruxelles, in una cornice pressoché simile alla nostra: “Ogni arte autentica interpreta le realtà al di là di ciò che percepiscono i sensi. Tutto nasce dal silenzio dello stupore, dall’affermazione di un cuore sincero. L’essenziale dell’arte si colloca nel profondo dell’uomo; si accompagna all’intuizione della bellezza e della misteriosa unità del pensiero”. Non han fatto, per caso, così tutti gli artefici del nostro restauro?
Mentre andavo, una lama di luce manda in prodigio il volto di Maria la quale m’è sembrato volesse consegnare a me quel suo bimbo in braccio, in un affidamento perenne!
Il restauro di “Santa Giusta” mi sembra sia per Palata anche un’opportunità di crescita e di sviluppo. Una sfida tesa a trovare, a ritrovare l’identità locale divulgando le radici, le caratteristiche, le vocazioni con elementi di vitalità e modernità. E costruire un’offerta integrata di valori spirituali, ambientali; di attrazioni turistiche in grado di favorire la competitività, la crescita sociale ed economica della intera comunità.
Vincenzo Di Sabato