mercoledì 5 Febbraio 2025
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L’Isos di Guardialfiera: simbolo di unità e fede nella pietra

GUARDIALFIERA. Ada Trobetta – intellettuale, studiosa dell’arte e dei costumi molisani – è a Guardialfiera sul finire degli anni ’80. Porta con sé una comitiva di “fidapine” e di letterati venuti in pullman da Campobasso. Mentre si deliziano ammirando i paramenti murari esterni della Cattedrale, ella li punzecchia così: “Beati i popoli che affidano le loro memorie alle pietre”. Si tratta infatti di un libro stampato qui davvero sulla pietra, di un’urna polifonica di messaggi che avvincono e che ci danno la tonalità del canto e dell’incanto col divino. Pietre grezze o lavorate. Blocchi quadrati, romboidali; disegni di figure umane, intrecci di spighe, grappoli e tralci d’uva; un intrigo di fiori, di intarsi, di conci: una lavagna all’aperto sulla quale si legge un magnifico passato in una fusione di civiltà.

Fra uno sciorinare di ornamenti della parete a ponente, splendono, in bassorilievo, dodici archetti pensili, poggiati ad ornamento su testine umane, corrose dal tempo. Vorrebbero configurare, forse, gli apostoli di Gesù. Si scorgono più in basso agnelli crociferi, lunette, monofore; e una scena di caccia, sulla parete orientale, nel cui tratteggio appare un predatore armato di mazza e corno, e l’abbondanza della selvaggina. Assai più su, fra grossi semipilastri angolari, si impone un gigantesco rosone, guarnito lateralmente da colonnine a spirale e sorrette da bestiole genuflesse. E, di nuovo giù, segue lo sfoggio di rappresentazioni: un delfino di stile bizantino; tre presbiteri processionanti con evangelario e turibolo e il Vescovo, imponente, con pastorale e mitria dalle infule svolazzanti.

D’improvviso, Ada Trombetta si blocca, s’incanta. Distingue una pietra brunita incastonata, a sinistra, sotto l’arco del Seminario. “Oddio!”, esclama. Sarà per caso una data? Forse 1505. Mannò. Quei segni somiglianti a due “5” sono inequivocabilmente due “S” (esse). E, ad alta voce, con enfasi, grida “ISOS”! Che, dal greco, indica “Io stesso”, cioè uguale. È il trionfo dell’ “Homoousion”, vale a dire del Padre che è una cosa sola con il Figlio: consubstantiàlem Patri. La formulazione, dunque, del dogma di fede scaturito dal Concilio di Nicea nel 325, quel Credo che proclamiamo a memoria ogni domenica a Messa. E l’Isos – curiosamente – si riattualizza proprio in questi giorni, che la Chiesa guarda ai 1700 anni di quel Concilio, e che dal 18 al 25 gennaio sta celebrando l’ottavario per l’unità dei cristiani.

“Avvenire”, il quotidiano della CEI, così scrive martedì 14 gennaio: “L’anniversario offre un’opportunità per riflettere sulla nostra comune fede di cristiani, proprio sull’unità a quella fede espressa durante il “Concilio”. L’ “Isos” ne rappresentava un po’ lo slogan. Perché erano impensabili i volantinaggi a quell’epoca, oppure i social o la rete come luogo di condivisione. Il “motto” bisognava inciderlo sui ciottoli, sui sassi e mandarli in giro per il mondo.

“In quel tempo”, l’unità della Chiesa era piuttosto incrinata dal contrasto vivace fra due Padri della Chiesa. Da parte di Ario, presbitero alessandrino, il quale sosteneva che Cristo era soltanto “il figlio di Dio”. E da Atanasio, diacono, che propugnava “La piena divinità di Gesù”. Sicché l’Imperatore Costantino -per tenere a bada quei “birichini”, per dirimere le dispute, ristabilire la pace religiosa e l’unità dogmatica – inventa il Concilio, il primo evento ecumenico nella storia della cristianità, iniziato il 20 maggio del 325 a Nicea. Ario è condannato come eretico e c’è il trionfo dell’Homoousion, vale a dire del Padre e del Figlio, fusi nell’ISOS, che in questa pietra brunita di Guardialfiera trova un contrassegno ed un significante punto di riferimento dottrinale della Chiesa Cattolica.

Vincenzo Di Sabato