GUARDIALFIERA. Oggi, 8 febbraio, ricorre l’82° compleanno non compiuto di Vittorio Grande. Amo ripensarlo, desidero riguardarlo!
Lui, Grande nel cognome, piuttosto piccolo nella corporatura; “umile ed alto” nel dinamismo e nell’armonia amicale. Un “forte” nel saper soffrire e un “debole” nel dover gioire. È morto a Roma il 20 ottobre 2004, all’età di 63 anni. Un amabile e pensieroso amico mio d’infanzia. Con lui ho giocato, sofferto, sognato. E con lui ho condiviso le agitazioni dovute al più grande travolgimento epocale: politico, economico, ecclesiale, culturale, tecnologico. Un cambiamento inimmaginabile, per la sbalorditiva intensità con cui ha travolto l’intera umanità. Per qualunque altra epoca, il tempo avrebbe dovuto scorrere più lentamente per secoli. Eppure, in questi decenni, sono stati conquistati la Luna, il computer, la bomba atomica, gli antibiotici, i cellulari. La scienza ha rivoluzionato la nostra storia. E io, lamentandomi con Vittorio, gli dicevo: “Ma chi, tra tutto questo frangente, ricorderà mai il nostro villaggio, il piccolo e “grande” patrimonio di tradizioni, di personaggi, di canti, mestieri, cibi, religiosità, giochi?”
Vittorio Grande, umanista, docente a Roma di storia, filosofia, pedagogia, alla fine degli anni ’70 scrive “Giorni di scuola in classe” e poi “Volo senza riserve”, una libera dissertazione storica, letteraria e giornalistica su un Molise a confronto con l’Europa. Poco dopo, si inoltra nei meandri della memoria e, con limpida introspezione, compone nel 1993 “All’ombra del campanile”: una memoria letteraria, antropologica, storica e filosofica di una comunità in cammino. Un libro, un atto d’amore, presentato a Guardialfiera l’11 agosto di quell’anno, da Vittorio Feltri, suo amico, di fronte a una moltitudine di ex compagni d’infanzia.
Dall’osservatorio del campanile, aperto ai venti del modernismo, Vittorio Grande esplora in diverse direzioni un mondo che è sempre più bisognoso di umanità. Lui, orfano del papà disperso in Russia nell’ultimo conflitto mondiale e mai rintracciato, dedica il libro alla mamma, Jolanda Romagnoli, originaria di Casacalenda, che “non possedeva niente e che mi ha dato tutto”. Con una prosa fresca e deliziosa, il libro si adagia nel fondo dei pensieri, riproponendo Guardialfiera in uno spaccato di vita tra creature “magiche”, impastate di delirio, ancora concrete nei nostri ricordi, ma evanescenti e rarefatte nella realtà dei giovani d’oggi.
Capitoli brevi, ma con il respiro ampio. Un mosaico di tante perle che brillano nel cielo di Guardia, confortando e confermando l’attuazione del testamento letterario e umano di Francesco Jovine. La scommessa di Vittorio, dunque, condensa in un libro vicende, curiosità, fatti storici e pieghe d’animo, arricchiti ad ogni pagina da un suggestivo album fotografico di famiglia. È l’insieme di mezzo secolo di sacralità e tenerezze di affetti, di intraprendenza di giusti, di silenzi di buoni, di spregiudicatezze di audaci e del profumo di virtù nostrane.
È un breviario di sacralità. Una sorta di “liturgia delle ore” che mi piace recitare volentieri in una lode mattutina, oggi, tra la consapevolezza del passato e le contraddizioni del presente.
Vincenzo Di Sabato