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domenica 27 Aprile 2025
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Lo stemma scelto dal vescovo Claudio Palumbo

TERMOLI. Al termine di un lunghissimo pomeriggio e della serata di ieri, è stato ufficializzato anche lo stemma episcopale, scelto dal nuovo vescovo della diocesi di Termoli-Larino, monsignor Claudio Palumbo.

Lo stemma episcopale è costituito da uno scudo rosso, attraversato da una banda diagonale color oro, che corre dall’alto a sinistra verso il basso a destra, dividendo lo scudo in due parti. Nella parte in alto a destra, figura una stella a otto punte di color oro.

Il colore rosso dello scudo simboleggia la fede, che permea tutta la vita del credente, attraversata dalla grazia divina, rappresentata dal giallo oro; mentre la stella, dello stesso colore, indica la Vergine Santissima, la Piena di Grazia, forma Dei secondo una espressione cara a sant’Agostino, Regina degli Apostoli, Madre e Modello della Chiesa, dentro la quale opera il Vescovo, il quale La riconosce come mediatrice di tutte le grazie e si affida alla Sua speciale protezione.

Il motto, impresso sul cartiglio, riprende l’ultima espressione della celebre preghiera Respice Stellam di San Bernardo di Chiaravalle.

L’omelia

Cari fratelli e sorelle,

il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, ci colloca ancora all’interno del cosiddetto “discorso della pianura”, del quale oggi celebriamo la parte centrale, basata sul tema dell’amore verso il prossimo e, addirittura, verso il nemico.

Nella grande “rivoluzione” operata da Gesù – la rivoluzione dell’Amore – un posto non secondario occupa il concetto di “prossimo”: chi è il mio prossimo? Così chiese un giorno un dottore della Legge a Gesù (Cf Lc10,25-29.36-37). Se nella religione ebraica “il prossimo” è sempre all’interno del proprio popolo e del proprio gruppo di appartenenza, per Gesù, invece, è un qualcosa di universale, aperto a tutti. Nell’insegnamento sul “prossimo” Gesù immette un qualcosa di differente anche rispetto alla tradizione greco-romana, per la quale era importante la reciprocità: agire in un determinato modo per poi aspettare il contraccambio! Con i comportamenti pratici suggeriti nel Vangelo di oggi: porgere l’altra guancia, non negare anche la tunica a chi ti strappa il mantello, dà a chi ti chiede e a chi prende le tue cose non richiederle indietro, Gesù spezza la logica della reciprocità interessata e ci invita a guardare al Padre, al suo agire di tenerezza nei confronti di tutti gli uomini, ad assumere, insomma, uno stile di vita contrario all’ostilità, a non usare la stessa moneta, a spezzare ogni logica di violenza e di vendetta, andando così, come suoi veri discepoli (“figli dell’Altissimo”), “oltre” ogni sistema di ricompensa. Di qui gli ultimi imperativi del Maestro: «Siate misericordiosi, non giudicate, non condannate, perdonate, date» (Lc 6,36-38). Altro che passività! Solo una reciprocità disinteressata di amore, a immagine del Cristo, umanizza e fa crescere. La pesante storia che viviamo ai nostri giorni, paradossalmente, è conferma di questa verità e di questa urgenza planetaria.

Le parole di Gesù Maestro, Via, Verità e Vita, contengono una triplice rivelazione. Esse dicono anzitutto chi è Dio per me. In Gesù, oggi, mi è mostrato il volto di un Dio che mi ama, mentre io ancora non lo amo; un Dio che mi fa del bene, mentre io recalcitro con lui; mi benedice, mentre io sono facilmente restio a benedirlo anzi, col mio egoismo, lo uccido nel fratello; purché io sia salvo, è disposto a subire ogni male da me; lo spoglio, e lui mi riveste della sua nudità; mi dona a prescindere e senza richiedere ciò che non ho meritato. Insomma, oggi scopro un Dio che è tutta con-discendenza verso il mio abisso! Così facendo questo Dio, tanto vicino, quanto totalmente altro, mi rivela anche chi sono io per Lui. Sono un essere infinitamente amato, nonostante le diverse incarnazioni e sfumature del mio egoismo. Su di me, Egli, in Cristo, riversa il suo amore e mi dona grazia con la sua misericordia. In una parola: mi salva! E così, in terzo luogo, queste parole mi rivelano chi devo essere io per gli altri: fratello, come Gesù, il Figlio. Quello che Lui ha fatto per me, diventa per me un imperativo, affinché io sia quello che sono. Il volto di Cristo, il Figlio, diventa il mio vero volto. Oggi sono rimesso dinanzi al cuore della vita cristiana: l’amore di misericordia, unico amore ancora possibile in un mondo di male, e unica forza ancora capace di vincerlo.

Rimane tuttavia aperta la domanda: è possibile mettere in pratica una esigenza come questa di perdonare i nemici? A questa domanda, onestamente, dobbiamo rispondere: no, non è umanamente possibile, ma Gesù, lungi dal chiederci un impossibile, che ci schiaccerebbe, assieme al comandamento di amare i nemici ci dà anche la grazia, cioè la capacità di farlo. Lui, che è morto perdonando i suoi nemici, a Pentecoste, e poi nel battesimo, ci ha donato il suo Spirito. Vale a dire che ci ha comunicato le sue stesse disposizioni, infondendo in noi la carità e, con questa, la sua stessa capacità di amare tutti, sempre e allo stesso modo, anche i nemici. Gesù non ci ordina solo di fare (legge), ma fa egli stesso con noi e in noi (la grazia). San Paolo apostolo ci ricorda come noi non siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia. Spes non confundit! La speranza non delude! E quanta possibilità di Speranza è data in questa grazia che è stata abbondantemente riversata nei nostri cuori!

Se allora è così, la domanda vera non è quella sulla possibilità o meno di ottemperare al comando di amare i nemici, ma è quella sulla disponibilità ad accogliere o meno questa grazia, di crederci, e di collaborare con essa. Chi può perdonare i nemici? C’è qualcuno che desidera fare questo e perché dovremmo? Perché dovrei amare i miei nemici?  Perché, sono stato semplicemente amato dal Signore… quando anch’io ho agito da nemico nei suoi confronti. Cosa fare, allora, per amare il nemico?

Dinanzi ad un’altra esigenza non meno difficile di quella di amare i nemici (quella di vivere casto) sant’Agostino pregava così: «Ogni mia speranza è posta nell’immensa grandezza della tua misericordia. Dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi. (…) O amore, che sempre ardi senza mai estinguerti, carità, Dio mio, infiammami. Ebbene, dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi Dio (da quod iubes et iube quod vis)» (Conf. 10, 29,40).

Possiamo anche noi, come Agostino, dire: «Signore, oggi tu mi comandi di amare i nemici: ebbene, dammi ciò che mi comandi e poi comandami ciò che vuoi». L’essenziale non è quello che si sente, ma quello che si vuole. Se voglio perdonare, e lo voglio sul serio, ho già perdonato. I martiri – da santo Stefano in poi – i santi e le sante, tutte le persone che hanno avuto un loro caro vittima della violenza omicida, hanno avuto da Dio la grazia di perdonare pubblicamente.

Ci troviamo stasera in casa francescana. Cosa direbbe Francesco di Assisi? Accetterebbe egli tutta questa odierna situazione di odio, di rivalità, di acredine, dove la ragione sembra essere di chi più sa urlare sull’altro, lui che voleva mettere face perfino tra gli uomini e le bestie, e tra i cristiani e i saraceni? Lui che un giorno, avvicinandosi ad Arezzo vide i demòni danzare felici sulle mura della città che, all’interno, era dilaniata da lotte intestine e rivalità tra le parti, e perciò pregò, allontanando quegli spiriti maligni sì che la pace ritornò in città (Giotto)?

Seguendo, assieme a Beatrice, San Benedetto da Norcia verso l’Empireo, Dante Alighieri rivede i cieli dei sette pianeti e, in quel fondo dell’infinito, rivede la terra l’aiuola che ci fa tanto feroci (Par. XXII, 151).

Nel momento in cui l’imperscrutabile Provvidenza del Padre e l’obbedienza alla Chiesa inviano un nuovo Vescovo a preesse et prodesse, a presiedere per giovare alla santa Chiesa di Dio che è in Termoli-Larino – nel corso dell’ Anno Santo 2025/Giubileo della speranza – vogliamo pregare e augurarci, tutti, che grazie a piccoli gesti concreti di riconciliazione, qualcosa cambi e che, a cominciare dalla nostra vita personale, dalle nostre famiglie, dai rapporti interpersonali, dalla nostra Italia, il mondo intero possa diventare l’aiuola che ci fa tanto felici. Tutto dipende dalla grazia di Dio, che c’è sempre e comunque (Dio nell’amore non può mai essere vinto), e dall’impegno del nostro cuore, da questa risanato e riconciliato.

E riportiamo con noi a casa, stasera, nel cuore, le ultime battute del Vangelo odierno, che vogliamo accogliere anche a modo di prima piccola lettera pastorale del nuovo Vescovo di Termoli-Larino: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro … con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio». Ci accompagnino in questo cammino i Santi Basso e Pardo, Primiano, Firmiano e Casto, con san Timoteo “discepolo dell’Apostolo Paolo”, e Maria, Madre di Misericordia, Madre della Speranza, vegli teneramente materna su tutti: Ipsa propitia pervenis.

Amen.