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domenica 27 Aprile 2025
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«L’ergastolo per chi uccide una donna solo per il suo sesso è un segno di giustizia»

TERMOLI. Alla vigilia della Festa della Donna, il Governo ha compiuto un passo davvero significativo contro i femminicidi. “Il Consiglio dei ministri ha varato un disegno di legge estremamente significativo, che introduce nel nostro ordinamento il delitto di femminicidio come reato autonomo, sanzionandolo con l’ergastolo, e prevede aggravanti e aumenti di pena per i reati di maltrattamenti personali, stalking, violenza sessuale e revenge porn. Norme che considero molto importanti e che abbiamo fortemente voluto per dare una sferzata nella lotta a questa intollerabile piaga. Ringrazio i Ministri che hanno lavorato al provvedimento e che ci hanno permesso di raggiungere, alla vigilia della Festa della Donna, questo importante risultato“. Queste le parole della premier Giorgia Meloni.
Con questa dichiarazione, Giorgia Meloni ha voluto sottolineare il forte impegno del governo nel contrastare la violenza di genere, una piaga che continua a mietere troppe vittime in Italia e nel mondo. L’introduzione del femminicidio come reato autonomo e l’inasprimento delle pene per reati come stalking e violenza sessuale segnano un passo decisivo verso una maggiore protezione delle donne, ma sollevano anche numerosi interrogativi su come queste leggi saranno applicate concretamente.

Ma cosa significa per le donne e anche per gli uomini questa novità? Cosa rappresenta? E’ davvero un passo avanti o, il solito “Fatta la legge, trovato l’inganno”?

Una giovane attivista per i diritti delle donne ha commentato con entusiasmo: “È un passo decisivo, finalmente il femminicidio viene riconosciuto come reato autonomo. È un messaggio chiaro che la società non tollera più queste violenze. L’ergastolo per chi uccide una donna solo per il suo sesso è un segno di giustizia che non lascia spazio a dubbi”.

Un’altra donna, madre e sopravvissuta a violenza psicologica, ha parlato della sua speranza per il futuro: “Non basta una legge, ma è sicuramente un inizio. L’importante è che si faccia tutto il possibile per sostenere le vittime e prevenire questi crimini. Il cambiamento deve essere a 360 gradi, e non solo nelle aule dei tribunali”.

Non tutti sono convinti che questa legge sarà la soluzione definitiva al problema. Alcuni hanno espresso il timore che, come spesso accade, le leggi possano restare lettera morta o essere aggirate. “Le leggi ci sono già, ma non è cambiato nulla. La violenza continua, e spesso chi è coinvolto non teme le conseguenze. Bisogna partire da un cambiamento culturale e non solo da nuove leggi“.

Alcuni uomini hanno espresso il loro punto di vista sulla nuova legge. Un giovane professionista ha dichiarato: “Sono felice che si stiano facendo dei passi concreti. La violenza contro le donne è una vergogna che non possiamo più permettere. È importante che anche gli uomini facciano la loro parte, educando i più giovani al rispetto e alla parità”.

Un padre ha sottolineato: “Sono favorevole a questa legge, ma non dimentichiamo che la prevenzione è la chiave. Insegniamo ai nostri figli fin da piccoli che il rispetto reciproco è alla base di ogni relazione. La legge da sola non basta, serve un cambiamento culturale”.

Una legge che fa sperare, ma che lascia aperte molte domande.

Questa riforma rappresenta senza dubbio un passo importante nella lotta contro la violenza di genere, ma non deve essere vista come una soluzione definitiva. Come sottolineano le persone che abbiamo intervistato, le leggi devono essere accompagnate da un impegno continuo nella prevenzione, nell’educazione e nel supporto alle vittime. È fondamentale che le risorse per l’applicazione della legge siano adeguate e che venga garantito un sistema di protezione efficiente per chi denuncia.

Il cambiamento culturale, infatti, è essenziale per prevenire la violenza e favorire una società più giusta e rispettosa. Ora, con l’introduzione del femminicidio come reato autonomo, la speranza è che l’Italia possa davvero iniziare a fare i conti con una realtà che troppe volte è stata ignorata.

Alla base di ogni discussione sulla violenza c’è una verità universale: chi uccide, uccide. Il crimine di omicidio è sempre un atto di violenza inaccettabile, indipendentemente dal sesso o dall’identità della vittima. Distinguere tra “omicidio” e “femminicidio” può sembrare, a molti, un tentativo di differenziare la gravità di un crimine che, per sua natura, è sempre estremo e insostenibile.

Non c’è bisogno di etichettare un omicidio in base al genere della vittima per condannarlo con la massima severità. Ogni vita ha lo stesso valore, e ogni morte causata dalla violenza dovrebbe essere affrontata con la stessa serietà, con una giustizia che non faccia distinzioni. La vera sfida non sta nel dare nuovi nomi ai crimini, ma nel migliorare l’efficacia del sistema legale, nel garantire che la giustizia sia rapida ed equa, e soprattutto, nel prevenire la violenza prima che accada.

L’approccio alla violenza deve essere olistico: serve un cambiamento culturale profondo, che parta dall’educazione al rispetto, dall’inclusione e dalla promozione di relazioni basate sull’uguaglianza e sul riconoscimento del valore dell’altro. La violenza, di qualsiasi tipo, deve essere fermata alla radice, con un impegno che vada oltre le parole e le leggi, ma che tocchi ogni aspetto della nostra vita quotidiana.

La vera lotta alla violenza non si vince con nuove etichette, ma con azioni concrete, cultura del rispetto e un sistema giuridico che agisca tempestivamente ed efficacemente, indipendentemente dal sesso della vittima.

Alberta Zulli