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lunedì 24 Marzo 2025
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Termoli e i suoi vigili: fischietto, ramanzine e nostalgia

TERMOLI. A Milano li chiamano “Ghisa”, ad Ancona “Pizardò”, a Roma “Pizzardoni”, ma anche a Termoli i vigili urbani sono sempre esistiti. Oggi li chiamiamo agenti di Polizia Municipale, ma allora erano semplicemente i “vigili”, figure familiari della città, presenze costanti nelle strade e nelle piazze.

C’erano quelli che pattugliavano a piedi, quelli in macchina e persino in moto. Qualche anno fa, per affrontare il traffico estivo sempre più caotico, si sperimentò anche un gruppo ciclistico, permettendo agli agenti di muoversi più agilmente tra le vie affollate dai turisti e di raggiungere più velocemente il luogo delle chiamate.

La foto d’epoca che vi mostriamo (scattata da Lanfranco Marolla) ritrae una fetta del Comando Vigili Urbani presso il Comune nei primi anni ’80.

Da sinistra: Alfeo De Sanctis, il vice-comandante Felice Della Porta, la mascotte lombarda dei vigili urbani e dei vigili del fuoco proveniente da Cremona, e il comandante Giuseppe Sorella. L’agente con gli occhiali da motociclista – con un piccolo margine di errore – crediamo fosse il caro e simpaticissimo Salvatore Checchia, che purtroppo ci ha lasciati da qualche anno.

Uomini che, nonostante la divisa, svolgevano il loro mestiere con dedizione e passione, in anni in cui Termoli era certamente meno popolosa e meno frenetica. Il traffico era più ordinato, gli automobilisti più rispettosi delle regole, e i vigili urbani riuscivano a gestire la viabilità con un equilibrio che oggi, con l’uso smodato dei cellulari alla guida e le infrazioni sempre più frequenti, sembra un lontano ricordo.

Non c’erano le leggi restrittive di oggi perché, semplicemente, non ce n’era bisogno: chi guidava lo faceva con maggiore responsabilità.

All’epoca, incontrare per strada uomini come Alfeo De Sanctis, Felice Della Porta, Giuseppe Sorella, Salvatore Checchia, Bruno De Santis, Ilario Cannella, il maresciallo Antonio D’Onofrio, Gino Mugnano (meglio noto come “Giné ‘a Guardia”), Michele Mansolini, Carmine Antrone, Ubaldo Ricchezza, Amedeo Ceccarelli, Michele Cianguitti e tanti altri significava imbattersi non solo in figure autorevoli, ma in volti amici, persone della propria città con cui ci si poteva intrattenere oltre il servizio ufficiale.

Erano un punto di riferimento, una presenza che trasmetteva sicurezza e rispetto.

Un altro mito di qualche anno prima era il maresciallo Capone, integerrimo ma umano. Quanti palloni sequestrati, quante ramanzine ci siamo presi da ragazzini spavaldi! Non ci multavano, non serviva: bastava un ammonimento, spesso colorito, per farci tremare.

“Ueh!!! delinquenti che non siete altro! Mo’ che vede a patet ju dice e pu’ vedime i mazzet ca te de!”

E solo a sentire quelle parole ci gelava il sangue, perché se quella minaccia si fosse concretizzata, a casa ci aspettavano le vere “mazzate”!

Ma era un altro mondo, un’altra epoca, in cui anche le sgridate facevano parte dell’educazione.

E oggi, sulla soglia della vecchiaia, possiamo dire con certezza che quei tempi ci hanno fatto crescere con rispetto per il prossimo e ci hanno reso uomini veri, tutto d’un pezzo.

Michele Trombetta