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venerdì 16 Maggio 2025
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«Da donna a donna, nel silenzio di un addio»

TERMOLI. Una giovane donna decide di porre fine alla sua vita. Aveva solo 27 anni.
Un evento che scuote, fa rumore anche nel silenzio, e apre interrogativi scomodi: cosa non abbiamo visto? Cosa potevamo fare, come persone e come società? Di fronte a gesti così estremi, serve fermarsi e ascoltare chi, con parole intime e autentiche, prova a dare voce al dolore, alla solitudine, alla necessità di riscoprire uno sguardo più umano sull’altro.

Di seguito il testo di Erica, una riflessione intensa e profondamente personale, da donna a donna.

«A pochi giorni dalla morte di Papa Francesco, la notizia di una vita buttata via a soli 27 anni mi interroga sulla dissonanza tra quell’uomo che ha speso la vita per difendere la vita, ogni vita, e l’attimo che può indurre a un gesto oltreumano.

Da credente, potrei chiedermi, come De André, se in cielo esiste un posto per i suicidi.
Ho sempre sperato di sì, perché qualcuno – soprattutto nell’ultimo decennio – ha ripetuto come una goccia che scava i nostri cuori di pietra, che la misericordia di Dio è più grande dei limiti umani, qualsiasi essi siano.

Ma quel padre mi ha anche insegnato che esiste una responsabilità personale e una collettiva. Lui l’avrebbe chiamata attenzione al “bene comune”.
E allora, da essere umano, mi chiedo: dov’era l’umano della società quando questa giovane donna moriva nella sua disperazione?

Le guerre, a cui tutti guardiamo con drammatica tensione, assumono talvolta varie sembianze, ci ricordava il Papa. E si perde sempre, tutti, nel combatterle.
Spesso le più dure e anonime sono quelle interiori, ferite che lacerano fino a scarnificare le nostre vite, rendendole inconsistenti e vane.

Probabilmente questa giovane donna avrà pensato che la sua vita fosse una serie di fallimenti, e che non valesse più la pena viverla.
Ma io mi chiedo se il vero fallimento non sia la società a cui apparteneva. E mi domando: quante volte io stessa fallisco nel riconoscere il bisogno dell’altro, di chi mi è prossimo?

Forse accade perché sono distrattamente presa da me stessa, dal vortice ripetitivo di un tempo che non scandisce più la nostra quotidianità, ma la attraversa con indifferenza.

Cosa resta a noi dell’insegnamento di quell’uomo venuto dalla “fine del mondo”, se ancora restiamo soggiogati dalla “cultura dello scarto”, che prende sempre più il sopravvento sulle relazioni fatte di prossimità e cura dell’altro?

Mi piace immaginarti, cara donna affaticata e infelice, tra le braccia di un uomo che sa, ora, condurti presso Chi può lenire le tue ferite.
Perdona la nostra fallibilità umana e insegnaci che sguardo, mente e cuore vanno educati e accordati insieme, affinché siano ben armonizzati a quelli degli altri.

Solo così potremo rendere la vita una piacevole melodia, non un rumore assordante che si desidera solo far cessare.

Da donna a donna».