GUGLIONESI. La mia fede ha cornici personali, lontano dalle convenzioni. Credo in Dio e accolgo i dogmi della dottrina cattolica, eppure mi discosto dal clero e dalle sue gerarchie. È nella bontà delle persone che ripongo la mia più fiducia: la percepisco a pelle, è come un tocco gentile. La guardo negli occhi e mi conquista! La sento col cuore, è una verità inconfutabile.
In questo mio modo di credere, “Francesco” è stato rivelazione immediata. L’ho amato dal primo istante, da quando si è affacciato alla loggia di San Pietro, in quella veste bianca che lo ha accompagnato fino all’ultimo respiro terreno. Un uomo che ha scelto di chiamarsi come il santo della povertà, proveniente dalla “fine del mondo”!
L’ho amato ed apprezzato ancora di più quando la sua stessa Chiesa, quella dei palazzi e delle tradizioni inamovibili, lo ha accusato di tradire la dottrina. Proprio in quel momento ho realizzato quanto sarebbe stata grande la sua missione. Non è stato un semplice Papa, ma un riformatore, chiamato a rinnovare un’istituzione millenaria, a liberarla dai vincoli di mentalità medievali che ne offusca ancora oggi l’essenza.
Bergoglio ha osato pronunciare parole che nessun altro Pontefice aveva mai neppure concepito pensare.
“Chi sono io per giudicare?”, disse parlando delle persone omosessuali. Un quesito tanto semplice ma che è riuscito a scuotere secoli di rigidità culturale. Ha camminato controcorrente, sfidando pregiudizi sociali cristallizzati in una tradizione assai distante dagli insegnamenti evangelici. Non ha temuto di confrontarsi con il potere della “santa Chiesa” – intesa come sistema e non come comunità di fedeli – ammonendola, perché troppo legata ai formalismi, al culto delle personalità e al potere temporale.
Papa Francesco, o semplicemente Francesco come preferiva essere chiamato, si è rivelato profeta in un tempo travagliato, privo di una vera identità sociale. Un Pastore che ha cercato in ogni modo di spingere la Chiesa ai margini dell’esistenza umana, là dove il dolore è più intenso e il bisogno più profondo. Non si è limitato a predicare dall’alto delle sue residenze, ma ha toccato con mano le piaghe dell’umanità sofferente, lavando i piedi ai carcerati, abbracciando i deformi, accarezzando il volto della miseria. La sua umiltà non è mai stata ostentazione, ma essenza – il segno distintivo di un ministero vissuto con devozione. L’uomo al servizio del Signore.
“Un rivoluzionario” lo hanno chiamato con disprezzo alcuni tra i custodi dell’ortodossia. La sua è stata una rivoluzione necessaria, per riportare la misericordia al centro del messaggio cristiano – non come semplice virtù accessoria, ma come la chiave di volta della fede. Francesco ha ricordato al mondo che prima della dottrina, prima dei riti, prima delle strutture ecclesiastiche, c’è l’amore compassionevole di Dio.
Papa Francesco ha aperto finestre dove c’erano muri, ha costruito tavoli di dialogo dove c’erano barricate ideologiche.
Ha affrontato con coraggio le questioni più spinose all’interno della Chiesa: gli scandali finanziari, gli abusi sui minori, il clericalismo dilagante. Ha chiesto onestà, trasparenza e assunzione di responsabilità personale. La sua voce si è levata categorica nel condannare l’indifferenza verso i migranti, tuonando contro “la globalizzazione dell’indifferenza”. Si è opposto con veemenza alle ingiustizie sociali, all’inquinamento che devasta il pianeta – “la nostra casa comune”, come la chiamava nella Laudato Si’ – alle guerre che lacerano l’umanità e la riducono in frantumi.
Ha scelto di essere ultimo tra gli ultimi non come strategia per conquistare consensi, ma come autenticità della vita cristiana. Un uomo che si è fatto strumento nelle mani del Signore, scegliendo di abitare in un appartamento modesto invece che nei palazzi apostolici, di indossare scarpe ortopediche comuni invece che le tradizionali scarpette rosse papali.
Ora che Papa Francesco non è più tra noi, la sua eredità ci pone interrogativi. La. Mia fede personale trova nell’esempio di “Francesco” la conferma che la Chiesa può ancora essere rilevante per questa società che tende ad allontanarsi e non avere più fede, ma solo se avrà il coraggio di perseguire la strada tracciata da Bergoglio, verso la misericordia, vicina agli ultimi. La sua “rivoluzione “non può finire con lui, ma è l’invito a proseguire un cammino di rinnovamento
Forse, l’eredità più preziosa di Francesco è questa: ricordare che la fede non è questione di dogmi rigidi ma di cuori aperti, non di condanne ma di abbracci, non di esclusioni ma di inviti alla mensa comune dell’umanità.
La sua scomparsa lascia un vuoto nell’anima dell’intera umanità, credente e non. Il mondo piange l’Uomo mandato da Dio che ha osato costruire ponti in un’epoca ossessionata dall’erezione di muri, testimone ostinato di speranza in un tempo consumato dalla paura.
Lucia Lamanda