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giovedì 24 Aprile 2025
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Non sono solo nomi, la violenza di genere è una strage

TERMOLI. Ancora una volta, due ragazze sono state uccise. Due nomi che si aggiungono a una lista che non smette di allungarsi. Ancora una volta, leggiamo di giovani donne strappate alla vita da uomini che non accettavano un rifiuto, che le consideravano di loro proprietà. Ancora una volta, ci viene detto che “la violenza di genere è un problema serio”, che “servono misure urgenti”. Ma le parole non bastano più.

Abbiamo percorso tanta strada: ogni anno, il 25 novembre ci fermiamo a ricordare le vittime di femminicidio e a chiedere giustizia. Ma quante volte questa giornata rischia di diventare una mera commemorazione, senza che le parole si traducano in azioni concrete? Quante altre donne dobbiamo perdere perché il sistema, le istituzioni e la società tutta prendano coscienza di questa emergenza? Ogni 8 marzo, ci uniamo per celebrare i diritti conquistati e per chiedere quelli ancora da ottenere. Ma la parità di diritti resta ancora una promessa non mantenuta, e la lotta per la libertà e la sicurezza delle donne non può ridursi a una celebrazione annuale. Deve essere un impegno costante e quotidiano. Abbiamo il “Codice Rosso”, una legge che dovrebbe garantire la protezione delle donne, eppure, nonostante questa legge, troppe donne continuano ad essere ignorate dal sistema, e la sua applicazione resta spesso insufficiente, senza che le vittime abbiano sempre gli strumenti o il supporto necessario per farla funzionare come dovrebbe.

Scarpette e panchine rosse, mimose, frasi smielate e poi? Il nulla, tutto come prima o forse peggio.

Perché questa non è un’emergenza: è un massacro continuo, strutturale, radicato in una società che non tutela le donne, che permette alla violenza di crescere nelle crepe dell’indifferenza. Ogni volta ci viene chiesto di riflettere, ma la verità è che non serve riflettere, serve agire. Servono leggi efficaci e applicate con rigore, servono strumenti di protezione che funzionino, servono educazione e prevenzione, serve un cambiamento culturale radicale. E serve subito.

Basta con la retorica della sorpresa e dello sgomento. Non siamo di fronte a eccezioni o a raptus improvvisi: siamo di fronte a una società che ancora non riconosce pienamente il valore della libertà femminile. Lo vediamo nella violenza quotidiana, nelle molestie minimizzate, nei tribunali che colpevolizzano le vittime, nei diritti costantemente messi in discussione, come quello all’aborto. Lo vediamo nella normalizzazione di un linguaggio che ci dipinge sempre come fragili, come provocatrici, come responsabili delle ossessioni altrui.

Ieri è toccato a Sara, oggi a Ilaria, ma domani può toccare a me, a te, a lei, a una parente, a un’amica, a una conoscente. È brutto dirlo, ma nessuno è al sicuro. E siamo stufe.

Non basta indignarsi di fronte all’ennesima tragedia. Bisogna cambiare, e bisogna farlo ora. Perché ogni ritardo, ogni esitazione, ogni promessa non mantenuta, si trasforma in altre vite spezzate. E noi non vogliamo più contare i nomi delle vittime. Vogliamo giustizia, vogliamo sicurezza, vogliamo vivere libere. E non smetteremo di urlarlo finché questo diritto non sarà garantito a tutte.

Alberta Zulli