URURI. I carri biancocelesti dei quattro paesi schierati sul sagrato della chiesa ad accogliere la bara del Capitano, ricoperta del vessillo di squadra e di una composizione di rose rosse, portata a spalle e dai suoi ragazzi: un funerale da campione, quello di Vincenzo Campofredano (foto Severino Tartaglione), con una chiesa gremita all’inverosimile, incapace di contenere tutti i convenuti, con amici e seguaci provenienti dai paesi vicini, ognuno con un episodio da ricordare, un gesto gentile e affettuoso da raccontare.
Una cerimonia sobria e raccolta, nonostante la grande folla presente, officiata dal parroco don Michele e da don Fernando, parroco precedente, alla presenza del sindaco Laura Greco, degli amministratori e dei rappresentanti delle forze dell’ordine col giovane maresciallo comandante della stazione Luca Sardella, ma soprattutto con il popolo delle Carresi, il suo popolo. Giovanni Occhionero, amico e carrista storico, ha commosso l’uditorio raccontando non di vittorie e successi conseguiti, che comunque sono nella storia, ma della vita di Vincenzo, del suo essere “regale”, non perché capo riconosciuto, ma per il suo carisma umano, la sua capacità di avvicinarsi e stabilire contatti con chiunque, di amare ed essere amato, per la sua generosità. Sull’aspetto umano di Vincenzo si è soffermato anche il parroco: a parte i suoi meriti di condottiero, uomo libero e rispettoso, lascia un ultimo segno tangibile della sua generosità con la donazione degli organi.
A conclusione del rito funebre, una sagrato colorato dai fumogeni celesti, ha accolto la bara con un applauso scrosciante e tutta la folla presente si è composta in un corte funebre che ha accompagnato il feretro, portato a spalle, ricoprendo lo stesso percorso dei carri, fino al cimitero, tra lo sventolare dei vessilli delle associazioni carriste: un bell’effetto vedere insieme colori giallo-rossi e banco-celesti, altrimenti inconciliabili: un altro miracolo di Vincenzo, forse un nuovo capitolo nella storia dei carri.
Iana Puleggi




