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sabato 1 Novembre 2025
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Il reato di pensare, dialogando col professor Paolo Crepet: «Il coraggio di una libertà che fa paura»

TERMOLI. In un tempo in cui tutto è connesso, ma pochi comunicano davvero; in cui la tecnologia promette salvezza e genera solitudine; in cui si moltiplicano i messaggi ma si svuotano di significato, la vera provocazione è una: pensare. Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, scrittore e figura di riferimento nel panorama culturale italiano, ha deciso di dedicare uno spettacolo proprio a questo gesto – semplice solo in apparenza – e al suo valore oggi. Il reato di pensare sarà a Termoli il 9 luglio, sul palco del Teatro Verde, in una serata promossa da Mia Eventi Live. Ma cosa significa davvero “reato di pensare”? E perché il pensiero libero spaventa così tanto?

Per Crepet non si tratta di una metafora. Pensare è diventato un atto scomodo, non tanto per la legge, ma per il costume, per il clima sociale, per le aspettative collettive che ci vogliono sempre più allineati, sempre meno critici. Lo abbiamo intervistato per capire cosa c’è dietro questo titolo e perché ci riguarda tutti, ogni giorno.

Quando il pensiero diventa pericoloso

«Il reato di pensare è ciò che stiamo vivendo oggi», ci dice senza esitazione. «È una condizione reale, sebbene invisibile. È alimentato da tanti fattori che si intrecciano: la ricerca compulsiva del consenso, l’invadenza delle tecnologie digitali, la difficoltà crescente ad esprimersi liberamente. Viviamo in un tempo dove si preferisce il silenzio all’opinione divergente, l’omologazione all’originalità».

Secondo Crepet, la società attuale è dominata da un conformismo che non nasce da una dittatura, ma da una forma più subdola di controllo sociale: l’autocensura. «Non c’è bisogno di imporre il silenzio: ci si adegua da soli, per paura di essere criticati, esclusi, derisi. Il pensiero libero viene percepito come pericoloso perché rompe gli equilibri, mette in discussione le certezze. E questo vale tanto nella politica quanto nella vita quotidiana, nelle relazioni familiari, nei gruppi sociali, nelle aziende».

La morte della fantasia

Uno dei segnali più preoccupanti, per Crepet, è l’impoverimento dell’immaginazione. «Viviamo in una comunità che si sta divaricando, dove aumentano l’odio, l’insofferenza, l’aggressività verbale e fisica. Ma soprattutto cresce la mediocrità formativa. Non insegniamo più a pensare, a creare, a immaginare. E questo è gravissimo. Perché senza immaginazione non c’è futuro».

Non è una questione italiana, precisa, ma globale. «È un fenomeno planetario: si cerca ovunque di imporre un pensiero unico. E chi prova a discostarsi, viene marginalizzato. Le voci critiche sono sempre più flebili, spesso tardive, e raramente ascoltate. Il vero problema è che non ci sono contraltari forti: manca una contro-narrazione solida, strutturata, coraggiosa».

Famiglia, scuola, comunità: chi ha perso il coraggio?

Ma di chi è la responsabilità? «Di tutti», afferma secco. «La famiglia, la scuola, le istituzioni, i media, le comunità locali: tutti hanno smesso di fare la loro parte. Abbiamo delegato troppo, a volte tutto. Ma la libertà richiede responsabilità. Pensare costa fatica, e noi ci stiamo abituando a non farlo più».

Uno degli ambiti su cui Crepet insiste di più è la scuola. «La formazione è il cuore di tutto. Se le università cominciano a censurare le opinioni non allineate per adeguarsi al politicamente corretto, allora non stiamo più educando. Stiamo addestrando. E questo è un pericolo enorme per una democrazia».

Disconnessione come forma di libertà

In una società iperconnessa, la vera rivoluzione è ritrovare spazi di disconnessione. E su questo Crepet si dice favorevole alla recente proposta del ministro dell’Istruzione Valditara, che vuole vietare l’uso di dispositivi digitali fino alla terza media.

«Molti gridano allo scandalo, ma non hanno capito il senso della proposta. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di creare una pausa. Dare ai bambini qualche ora al giorno per vivere senza schermi, senza mediazioni digitali. Restituire loro la libertà di immaginare, di inventare, di relazionarsi in modo autentico».

L’ombra lunga dell’intelligenza artificiale

Tra le nuove minacce al pensiero libero, Crepet inserisce anche l’intelligenza artificiale. «L’AI rischia di diventare una scusa per non pensare più. “Tanto ci penserà qualcun altro”, si dice. Ma questo qualcun altro non è umano. È un algoritmo. È il compimento della teoria del copia-incolla: nessuno sforzo, nessuna originalità, solo ripetizione».

E aggiunge: «È sempre più raro incontrare qualcuno che abbia un pensiero strutturato. Troppa gente ha paura di uscire dal coro. Se non sei allineato, vieni etichettato, ignorato, o peggio deriso. E molti preferiscono il silenzio a questa esposizione».

Media e cultura: il deserto della distribuzione

La crisi del pensiero è aggravata da un sistema dell’informazione sempre più povero e centralizzato. «Niente librerie, niente giornali, niente teatri. Solo vuoto».

Per Crepet, non è questione di sovvenzioni. È questione di visione. «La politica dovrebbe occuparsi di questo, non solo con finanziamenti, ma con idealità. La cultura deve essere un diritto universale, non un lusso per pochi».

Fiat, Termoli e la fine del desiderio

Il caso della Fiat di Termoli diventa, per Crepet, un simbolo. «A fine settembre, duecento dipendenti andranno in esodo incentivato. Ma nessuno lotta per il lavoro. Si aspetta solo l’assegno. Stiamo parlando di persone di 40-50 anni che non hanno più un desiderio, non un progetto. Solo attesa. È il segnale più drammatico di tutti. Una comunità che smette di desiderare è una comunità morta».

Le conseguenze sociali sono inevitabili: aumento dell’alcolismo, della violenza, della microcriminalità. «Ma chi ne parla? Chi se ne occupa? Non certo chi dovrebbe. Il vuoto culturale genera disgregazione. E chi ci guadagna nel frattempo, preferisce il silenzio».

Se avesse una bacchetta magica

Alla fine, chiediamo a Paolo Crepet cosa farebbe se potesse intervenire subito con tre azioni decisive. La risposta è lucida e concreta:

  1. Rivoluzione della scuola – «È il primo passo. Serve un sistema educativo che stimoli pensiero critico, creatività, autonomia. La scuola deve tornare a essere fucina di futuro, non officina di conformismo».
  2. Ripensare l’economia – «Abbiamo creduto che l’elettrico fosse la soluzione di tutti i problemi. Non lo è. Ha distrutto posti di lavoro senza offrire alternative reali. Se la Fiat chiude, un motivo c’è. Ma nessuno lo dice. Lo Stato ha finanziato, garantito, sostenuto. E ora guarda altrove».
  3. Ricostruire il legame sociale – «Serve un nuovo collante. Se ognuno pensa a salvarsi da solo, allora lo Stato non esiste più. È un insieme di persone, non un’entità astratta. Ma oggi lo Stato balbetta. L’Occidente balbetta. E quando la voce collettiva si spegne, resta solo il rumore di fondo dell’indifferenza».

Conclusione: la libertà come atto quotidiano

Il reato di pensare non è solo uno spettacolo. È una chiamata alle armi della coscienza. Paolo Crepet non lancia slogan, ma domande scomode. Non offre soluzioni facili, ma inviti a riflettere. In un mondo in cui tutto è diventato opinione, lui rivendica il valore dell’idea. Del pensiero vero, profondo, strutturato. Di quel pensiero che, anche quando fa paura, è l’unica salvezza possibile.

Perché alla fine, come lui stesso dice: «Non è alla ricchezza che dobbiamo aspirare, ma all’ingegno. Il resto, viene da sé».

Emanuele Bracone