ROTELLO. Nemmeno il maltempo è riuscito a spegnere il fuoco della devozione. La pioggia battente che fino a pochi istanti prima della Messa bagnava l’arida terra estiva ha messo alla prova la determinazione degli organizzatori. Ma la loro perseveranza è stata premiata: il cielo si è improvvisamente aperto, consegnando alla comunità uno dei momenti più emozionanti e partecipati dell’anno.
Alle ore 19, presso l’edicola campestre di Verticchio, è stata celebrata la Santa Messa presieduta dal vescovo Claudio Palumbo, Vescovo di Termoli-Larino, concelebrata dal parroco don Marco Colonna e da don Antonio Giannone, vicario episcopale per l’Area Prossimità della diocesi. Proprio don Antonio, originario di Rotello, ha aperto la liturgia con un dono alla sua comunità: un inno a San Donato da lui stesso composto a quattro voci dispari.
Durante l’omelia, il Vescovo ha sottolineato il valore della devozione come testimonianza viva, capace di unire generazioni e rendere il culto del santo patrono non una memoria del passato, ma una scelta di fede attuale. Al termine della Messa ha preso il via la carovana dei pellegrini, che ha accompagnato il carro trainato da quattro buoi, sul quale era collocata la preziosa reliquia del santo. Il percorso della “Carrera di San Donato” è stato animato da canti e preghiere, guidati da don Antonio Giannone e incentrati sulla custodia del creato e sulla dimensione profetica della fede oggi.
Alle 22.00, puntuale come da tradizione, il carro è giunto in paese accolto da un bagno di folla. Bambini, giovani, anziani: l’intera comunità si è ritrovata a celebrare insieme, in un abbraccio generazionale che rappresenta il cuore pulsante della festa. Da lì ha preso il via il secondo momento della serata: la fiaccolata vera e propria. Su un secondo carro festosamente addobbato vi era il simulacro argenteo di San Donato che ha aperto il corteo processionale lungo le vie del borgo.
Un fiume di luci ha illuminato le strade del paese: centinaia di fiaccole e flambeaux hanno disegnato un lungo serpentone luminoso che, giunto di fronte alla chiesa madre, ha atteso in silenzio e raccoglimento l’arrivo dei due carri. Un fragoroso e commovente fuoco d’artificio ha segnato l’ingresso del patrono nella sua casa, accolto da una comunità profondamente unita.
Il Vescovo Palumbo, accompagnato dalla banda musicale “Don Luigi Marcangione” di Larino, ha scandito i passi del popolo con preghiere e melodie solenni di canti tradizionali. All’interno della chiesa, il Vescovo ha guidato la recita della preghiera della novena e impartito la solenne benedizione.
Tra i volti che accompagnavano il Vescovo durante la processione, c’erano le suore missionarie che lo affiancano nel ministero e anche don Marco Colonna, parroco di Rotello e di Montelongo, la cui figura, pur restando lontana dai riflettori, ha segnato profondamente il tessuto sociale e spirituale della comunità diocesana.
Fondatore dell’associazione Ilmuroinvisibile ODV, si è distinto per il suo impegno nella promozione della legalità e nella prevenzione delle dipendenze e della marginalità sociale. È tra quelli che appaiono quando gli altri tacciono, e scompaiono quando si accendono i riflettori. È in quel silenzio che costruisce ponti. Con passo quieto e instancabile, ha saputo tessere relazioni e dare forma a una presenza che non impone, ma accompagna. In lui l’essenziale prende il posto del superfluo, e la prossimità diventa stile di vita. Ha scelto di stare accanto a chi vive ai margini: detenuti ed ex detenuti, donne ferite vittime di violenza, giovani in cerca di direzione, famiglie invisibili. Ha offerto ascolto, percorsi educativi e accompagnamento concreto, trasformando la pastorale in una casa che accoglie e in un ponte che sostiene.
Qualche anno fa, don Marco Colonna si è ritrovato improvvisamente al centro di un’ondata mediatica nazionale. Era il 2014, e le parole durissime di Papa Francesco contro la mafia — “I mafiosi sono scomunicati!” — pronunciate durante una messa a Sibari, avevano acceso un vasto dibattito ecclesiale, civile e teologico. Quelle parole, pur cariche di valore profetico, furono fraintese da molti come una scomunica canonica formale. Alcuni detenuti del carcere di Larino, dove don Marco svolgeva il suo servizio come cappellano, si sentirono pubblicamente condannati e rifiutati dalla Chiesa. Smisero di partecipare alla Messa e chiesero con amarezza: «Se siamo scomunicati, che senso ha continuare a pregare?».
Fu allora che emerse con forza la vocazione più autentica di don Marco: quella del pastore che non abbandona il suo gregge nel momento del dubbio. Con fermezza e misericordia, entrò nel cuore del conflitto, spiegando ai detenuti che il Papa non aveva emesso un atto giuridico di scomunica, ma aveva lanciato un forte appello morale alla conversione. Non un’esclusione, ma un grido che chiedeva un cambiamento di rotta, un ritorno alla verità e alla giustizia.
Per rafforzare questo messaggio, don Marco non esitò a coinvolgere direttamente il vescovo diocesano, mons. Gianfranco De Luca, che celebrò una Messa all’interno del carcere per ristabilire la comunione e chiarire la posizione della Chiesa. Questo gesto pastorale, carico di compassione e intelligenza spirituale, riportò serenità nella comunità carceraria. La protesta si spense, e molti detenuti ripresero a partecipare alla vita liturgica, comprendendo che la porta della misericordia resta sempre aperta.
Pochi mesi dopo, un segno inatteso confermò la bontà di quel percorso: una lettera autografa di Papa Francesco, indirizzata proprio a don Marco, lo incoraggiava a non abbandonare il ministero e lo spronava a continuare a portare la vicinanza della Chiesa ai detenuti, accompagnandoli nel loro cammino di redenzione.
L’azione pastorale di don Marco Colonna si fonda su una formazione ampia, interdisciplinare e profondamente orientata alla comprensione dell’umano in tutte le sue sfaccettature. È laureato in Scienze dell’Educazione, Filosofia e Psicologia, a cui ha affiancato un articolato percorso di perfezionamento.
Ha conseguito vari master universitari, tra cui quelli in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, Psicologia di comunità, Psicologia della devianza sociale e Criminologia, e Psicologia clinica. Ha inoltre arricchito il proprio bagaglio culturale e tecnico con vari diplomi, tra cui quello in Grafologia Forense, che gli consente di cogliere aspetti profondi della personalità attraverso l’analisi della scrittura.
Alla formazione accademica si affianca una solida competenza musicale, coltivata con rigore e passione. Ha studiato canto lirico e canto gregoriano con maestri di rilievo come padre Sorbini, il basso Stefano Rinaldi Milani, il maestro Enzo Tei e la soprano Angela Baek. Ha partecipato a vari masterclass tra cui quello con Renata Scotto e Katia Ricciarelli, perfezionando l’interpretazione vocale in ambito sacro e operistico.
Dopo un’intensa formazione presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra, sotto la guida del maestro Turco, ha ulteriormente approfondito lo studio del canto gregoriano partecipando ai corsi dell’AISGRe (Associazione Italiana Studi Gregoriani e Ricerca Liturgico-Musicale), punto di riferimento nazionale per la ricerca liturgico-musicale. Ha inoltre completato il corso COPERLIM, promosso in ambito CEI per la formazione dei responsabili e operatori musicali nella liturgia.
Nel 2019 don Marco Colonna ha ottenuto il riconoscimento ufficiale a livello internazionale del suo affisso cinofilo, Mole sua stat, un traguardo raro e prestigioso che lo distingue come l’unico sacerdote in Europa — e probabilmente nel mondo — a vantare un affisso registrato ufficialmente. Successivamente ha conseguito il Master in Allevatore Cinofilo ENCI e il corso base di Addestratore Cinofilo. Nel 2022 è stato insignito del titolo di Master Allevatore, un riconoscimento ufficiale riportato su tutti i suoi pedigree, che certifica la sua competenza e professionalità nel settore.
Questo importante percorso è stato coronato dai numerosi successi ottenuti dai suoi cani in concorsi nazionali e internazionali, a conferma della qualità del suo lavoro.
Per don Marco, la cura e l’educazione degli animali non sono solo una passione, ma uno stile di vita e una vocazione che si integra profondamente con il suo impegno pastorale, riflettendo una profonda attenzione e responsabilità verso ogni forma di vita.



















