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domenica 16 Novembre 2025
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Attentato al giornalista Sigfrido Ranucci: un colpo alla libertà di informazione

ROMA. La notizia dell’ordigno esploso sotto l’automobile di Sigfrido Ranucci, conduttore del programma “Report”, non è solo un episodio di cronaca nera, ma un segnale inquietante per l’intera democrazia italiana. È accaduto nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 2025, davanti alla sua abitazione a Pomezia, e ha distrutto la sua auto e quella della figlia, miracolosamente rimasta illesa.

Chi ha piazzato quella bomba non ha colpito soltanto un giornalista. Ha sfidato lo Stato, ha tentato di intimidire una voce libera, ha minacciato il diritto dei cittadini a essere informati. Perché il lavoro di Ranucci, negli anni, ha scalfito interessi potenti, smascherando ingiustizie, infiltrazioni e corruzione. Ogni intimidazione nei suoi confronti è un monito: il giornalismo che fa domande, che scava nelle pieghe del potere, rimane scomodo e vulnerabile.

Non è la prima volta che Ranucci riceve minacce: vive sotto scorta da cinque anni. Ma la violenza fisica di questa notte cambia la portata della minaccia. Non si tratta di parole, né di pressioni burocratiche o legali: stavolta qualcuno ha voluto mettere a rischio la vita di lui e dei suoi familiari. Un atto di una gravità estrema, che richiede una risposta ferma da parte delle istituzioni e della società civile.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi hanno già condannato l’episodio e rafforzato le misure di protezione. Ma le istituzioni devono andare oltre le dichiarazioni di principio: serve una risposta concreta e tempestiva, che individui i responsabili e dimostri che chi colpisce un giornalista colpisce tutta la comunità.

Il giornalismo italiano ha sempre pagato un prezzo alto per il diritto alla verità. La storia recente è piena di nomi e volti che hanno lottato contro mafie, criminalità organizzata e abusi di potere, spesso mettendo a rischio la propria vita. L’attentato a Ranucci non è solo il tentativo di fermare un singolo cronista: è un attacco al cuore della libertà di stampa e al contratto sociale che lega cittadini e istituzioni.

Ora, più che mai, serve solidarietà concreta, non solo di facciata. Serve che colleghi, cittadini, associazioni e politica manifestino vicinanza e determinazione. Perché consentire che la paura fermi la penna significa lasciare spazio all’impunità. E lasciar spazio all’impunità, in questo Paese, significa tradire la democrazia.

Ranucci ha sempre dichiarato di avere fiducia nello Stato e nelle istituzioni. A lui va la nostra vicinanza, a lui e a tutti i giornalisti che ogni giorno rischiano per informare. Ma non basta la solidarietà individuale: occorre una rete sociale e istituzionale forte, che protegga chi fa il proprio dovere e mandi un chiaro messaggio: chi attacca la libertà di informazione attacca tutti noi.

Alberta Zulli