LARINO. A quasi mezzo secolo dall’omicidio di Piersanti Mattarella, con le indagini riaperte nel tentativo di identificare con precisione gli assassini, la Procura di Palermo ha accusato un ex poliziotto di depistaggio. Secondo il procuratore della Repubblica Maurizio De Lucia, Filippo Piritore, allora funzionario della Squadra Mobile diretta da Bruno Contrada, avrebbe «dichiarato il falso e omesso informazioni rilevanti» riguardo a una prova scomparsa: un guanto lasciato dal killer sull’auto utilizzata per tendere l’agguato al presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica, brutalmente assassinato a colpi di pistola il 6 gennaio 1980.
L’oggetto fu definito dal ministro dell’Interno dell’epoca, Virginio Rognoni, durante un intervento in Parlamento due giorni dopo il delitto, come «l’unico elemento che potrebbe appartenere ai criminali». Si trattava dunque di un reperto da custodire con la massima attenzione per cercare tracce che certamente sarebbero state utili a identificare i responsabili. Tuttavia, il guanto non si è più trovato e tra le cause ipotizzabili per spiegare tale sparizione vi potrebbe essere il depistaggio delle indagini. Questi nuovi fatti riportano alla luce quanto sosteneva Giovanni Falcone circa l’omicidio di Piersanti Mattarella. Per il magistrato palermitano più famoso al mondo per le indagini antimafia, il delitto fu orchestrato anche da neofascisti sotto il mandato della mafia, per motivazioni che rimandavano anche a interessi politici. Eppure, dopo più di quarant’anni, rimane il mistero su chi abbia materialmente sparato al presidente della Regione Sicilia.
Quel guanto sparito ci avrebbe fornito dati utili a ricostruire la verità. Attraverso lo studio dei documenti processuali, nel tempo, ho consolidato l’idea che il forte legame tra Aldo Moro e Piersanti Mattarella potrebbe essere una chiave interpretativa cruciale per comprendere l’origine di un omicidio così eclatante e meticolosamente pianificato. Mattarella era considerato il naturale erede politico di Moro e, se non fosse stato brutalmente interrotto dal suo assassinio, avrebbe probabilmente continuato a portare avanti il progetto politico di Moro, stroncato nel 1978 con la morte dello statista. Dentro l’orizzonte della Democrazia Cristiana, dominata dall’area cattolica italiana, Moro si era distinto fin da subito nel voler avviare una lotta concreta contro la mafia, e proprio su questo tema il legame fra lui e Mattarella si era consolidato, diventando progressivamente più forte e irreversibile. Piersanti Mattarella aveva intrapreso un dialogo serio e profondo con il Partito Comunista Italiano e apertura nei confronti delle proposte di azione che da esso derivavano.
Questa era la Sicilia di figure come Pio La Torre, apertamente schierate contro la criminalità organizzata. Costruire una collaborazione solida con il PCI per creare un’antimafia politica autonoma e indipendente, anche in riferimento ad un possibile sostegno parlamentare, poteva rappresentare un momento di svolta decisivo nella lotta contro la mafia, sia in Sicilia sia su scala nazionale. Mattarella perseguiva con crescente intensità l’obiettivo di costruire una nuova visione politica dell’antimafia: non solo parole vuote, ma fatti concreti. In uno dei suoi discorsi più celebri sottolineò quanto fosse urgente liberare la Democrazia Cristiana dall’arroganza e dall’ossessione per il potere, riaffermando un autentico senso dello Stato e il rispetto per ciò che appartiene alla collettività.
Queste parole rivelavano chiaramente il suo intento politico. Mattarella incarnava immediatamente l’immagine dell’“homo novus” per la DC siciliana. Era un giovane leader con una visione moderna, capace di immaginare una politica regionale coerente con un progetto nazionale ambizioso e aperto a una prospettiva europea più ampia. Mattarella lottava per estirpare clientelismi e mafie dalle istituzioni pubbliche, portando un messaggio di speranza straordinario ma anche pericoloso per gli equilibri consolidati tra la mafia e alcune frange della vecchia guardia democristiana colluse con essa. Se fosse rimasto in vita, il suo impegno avrebbe potuto incarnare e soddisfare le necessità di una Sicilia finalmente ricondotta alla legalità, attraverso il superamento delle connivenze mafiose. L’uccisione di Mattarella potrebbe ben essere spiegata con la determinazione con cui portava avanti il suo progetto. Il suo assassinio fu probabilmente il risultato di una convergenza di interessi criminali e politici che miravano a fermarlo. Da questa prospettiva, il delitto Mattarella non solo segna profondamente la storia siciliana, ma imprime una traccia indelebile anche su quella italiana.
Vincenzo Musacchio
Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (Stati Uniti). Attualmente, è ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.


