TERMOLI. Ci sono giornate in cui la storia sembra richiamarci con forza verso la responsabilità della memoria. Ieri, l’ombra lunga dell’eccidio di Tavenna — un episodio di crudeltà che le generazioni passate hanno giurato di non dimenticare — si affacciava nel presente, ricordandoci quanto fragile sia il confine tra civiltà e barbarie. Oggi, la cronaca ci consegna un’altra ferita: tre Carabinieri uccisi nell’esplosione durante uno sgombero a Castel d’Azzano, travolti dal dovere nel tentativo di servire lo Stato.
Due momenti lontani nel tempo e nello spazio, eppure intrecciati da un filo che li rende parte di un unico destino: ricordarci il prezzo della libertà, del rispetto delle regole, del coraggio che pochi — come l’Arma dei Carabinieri — accettano ogni giorno di pagare.
La memoria di Tavenna non deve restare un evento da commemorazione rituale. Deve diventare impegno: contro l’indifferenza, contro l’idea che il Bene comune sia un optional, contro chi sogna di far tacere la voce dello Stato e della collettività con violenza.
Il dramma di oggi: tre Carabinieri caduti nel compimento del dovere
Questa mattina, tre servitori dello Stato — il Luogotenente Carica Speciale Marco Piffari, il Carabiniere Scelto Davide Bernardello e il Brigadiere Capo Valerio Daprà — hanno lasciato la vita nel corso di un’operazione di sgombero, travolti da un’esplosione che ha distrutto l’edificio e seminato feriti tra militari, agenti di polizia e vigili del fuoco.
L’edificio era stato saturato di gas, e il gesto — che gli inquirenti definiscono volontario — ha trasformato un intervento già delicato in tragedia.
Si trattava di tre fratelli, già coinvolti in episodi analoghi, e si procede ora con indagini per accertare dinamica e responsabilità.
Nel sacrificio di questi militari risplende, con crudezza e con forza, il volto dell’Arma che non arretra. Non è un atto eroico fuori misura, ma la struttura stessa del loro onore: essere sempre avanti, anche quando il pericolo è totale.
Tra memoria e presente: un legame che ci interroga
Unire Tavenna e Castel d’Azzano non è un artificio retorico: è una scelta di coscienza. Da un lato, ricordiamo che esistono momenti in cui l’oscurità cerca di imporsi sulla storia. Dall’altro, constatiamo che anche oggi non mancano figure che vogliono contrapporsi allo Stato, che credono di potersi erigere in padroni della violenza.
C’è un rischio forte: che la morte diventi statistica, che il sacrificio si perda nella routine delle notizie, che l’Arma — che non chiede onori ma solo di poter servire — venga dimenticata dietro cifre e titoli di cronaca. E allora il compito di chi scrive, di chi ricorda, è quello di trasformare il dolore in parola e in impegno.
Un auspicio che non può restare vuoto
Alla famiglia del Luogotenente Piffari, di Bernardello, di Daprà va il cordoglio più profondo. A tutti i Carabinieri — quelli che restano nelle caserme, nelle strade, nei piccoli centri — va la gratitudine di una nazione che oggi deve fermarsi a riflettere. E alle istituzioni, agli organi giudiziari, ai cittadini, chiedo: che questa ferita non si rimargini con l’oblio. Che il lutto diventi occasione per ripensare la protezione dello Stato, per rafforzare le garanzie, per chiedere responsabilità.
La memoria di Tavenna e il sacrificio dei tre militari ci chiamano — tutti — a un nuovo passo: vivere la democrazia con coraggio, difendere lo Stato con dedizione, onorare la memoria con la vigilanza. Perché un uomo che muore in divisa non è solo una vittima: è un testimone, è un richiamo permanente al prezzo della libertà.


