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giovedì 30 Ottobre 2025
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“Per imparare a credere, bisogna imparare a fidarsi della storia”, l’incontro con lo ‘scienziato biblico’ Philip Bell

TERMOLI. Presso la Chiesa Cristiana Evangelica di Termoli, in via delle Orchidee, si è tenuta una conferenza con il dottor Philip Bell, scienziato britannico, scrittore e insegnante biblico. L’incontro, organizzato in collaborazione con la Chiesa Cristiana Evangelica “Galed” di Vasto, ha richiamato un pubblico numeroso e partecipe, desideroso di riflettere sul rapporto tra scienza moderna e fede cristiana.

Bell ha aperto il suo intervento invitando i presenti a riscoprire la fiducia nella storia biblica: “Per imparare a credere, bisogna imparare a fidarsi della storia”, ha affermato, sottolineando come la Bibbia non sia un mito o un racconto morale ma una narrazione storica che fonda l’identità e la speranza della fede cristiana.

Con la competenza di chi ha lavorato per anni nella ricerca biologica, Bell ha affrontato uno dei dibattiti più vivi del nostro tempo: quello sull’origine della vita e dell’uomo. Secondo lo studioso, l’idea che Dio possa aver utilizzato il processo evolutivo come strumento creativo – la cosiddetta evoluzione teistica – non solo è problematica dal punto di vista scientifico ma contraddice le affermazioni centrali della Scrittura. In questa visione, la morte sarebbe esistita prima del peccato di Adamo e il male diventerebbe parte del processo naturale della creazione. Ma allora, si è chiesto Bell, quale senso avrebbe la redenzione di Cristo, venuto a vincere la morte come conseguenza del peccato?

Riprendendo la Lettera ai Romani (5:12), il relatore ha ricordato che “per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte”. Per Bell, questo versetto non lascia spazio a interpretazioni allegoriche: Adamo è un personaggio storico e il peccato e la morte sono realtà che si spiegano solo partendo da un atto concreto di disobbedienza umana, non da un lungo processo biologico.

Durante la conferenza, Bell ha offerto anche riflessioni di carattere scientifico, criticando l’idea di un antenato comune universale. Le somiglianze genetiche tra le specie, ha osservato, possono essere interpretate non come prova di un’origine evolutiva ma come segno di un progettista comune, un Dio che utilizza principi simili per realizzare forme diverse di vita. Allo stesso modo, le variazioni osservabili all’interno delle specie – come le diverse razze di gatti o cani – non rappresentano, secondo lui, un’evoluzione in senso darwiniano ma semplici adattamenti entro i limiti stabiliti dal Creatore.

Il dottor Bell ha quindi invitato il pubblico a “guardare i fatti con occhi biblici”, sottolineando che la fede cristiana non ignora le evidenze scientifiche ma le interpreta in una prospettiva coerente con la Parola di Dio. Anche la presenza di grandi cimiteri fossili nel mondo, ha detto, potrebbe essere spiegata meglio dalla catastrofe del diluvio universale, piuttosto che da milioni di anni di estinzioni progressive.

Il lavoro di Philip Bell si inserisce in un dibattito molto attuale, che attraversa tanto il mondo accademico quanto quello religioso. Da un lato, molti scienziati e teologi cristiani contemporanei cercano di conciliare fede ed evoluzione, sostenendo che Dio abbia operato attraverso processi naturali nel corso di milioni di anni. Dall’altro, studiosi come Bell – insieme a organizzazioni come la Creation Ministries International, di cui è direttore per il Regno Unito ed Europa – difendono una lettura storica e letterale della Genesi, affermando che la Bibbia parla di un atto creativo diretto e completo, non di un lungo processo evolutivo.

Bell argomenta che l’evoluzione teistica, pur volendo mantenere una fede in Dio, finisce per minare la coerenza della teologia cristiana. Se la morte, la sofferenza e la selezione naturale sono parte del disegno creativo di Dio, egli osserva, allora la creazione non sarebbe più “molto buona”, come dice Genesi 1:31, ma intrinsecamente segnata dal male.

Questa prospettiva, pur controversa, ha trovato risonanza crescente tra i credenti che vedono nella scienza non un avversario della fede ma un campo da esplorare partendo da presupposti biblici. Per Bell, l’approccio cristiano alla scienza non consiste nel rifiutare i dati, bensì nel riconoscere che l’interpretazione dei dati dipende dal quadro di riferimento con cui li si guarda: o si parte dalla Parola di Dio, oppure dalle ipotesi umane.

La conferenza è stata più di una semplice esposizione scientifica. È diventata un momento di confronto tra fede e cultura, scienza e Bibbia, ragione e rivelazione.
I presenti hanno partecipato con attenzione, segno di un interesse genuino verso temi che toccano le radici stesse della fede cristiana.

Philip Bell ha concluso il suo intervento ricordando che “la Parola di Dio è stabile nei cieli” e che, in un mondo dove le teorie cambiano rapidamente, la verità della Scrittura rimane il punto fermo da cui guardare la realtà.

Una serata intensa, che ha lasciato ai partecipanti una sfida spirituale e intellettuale: riscoprire la fiducia nella storia della Bibbia per imparare di nuovo a credere con tutto il cuore.

Angelica Silvestri