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mercoledì 12 Novembre 2025
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Versi siciliani tra sacro e profano: scopriamo Zammastra

TERMOLI. Un pomeriggio dedicato alla poesia contemporanea ha animato ieri la Libreria Fahrenheit di via Cina, dove si è tenuta la presentazione di Zammastra, la nuova raccolta poetica di Giulio Di Dio, edita da Capire Edizioni. L’incontro, inserito nel calendario culturale autunnale della città, è stato organizzato con la collaborazione del Gruppo Terminus e il supporto tecnico di Francesco Pascucci, e ha visto dialogare l’autore con la poetessa e illustratrice Alessia Iuliano in un confronto intenso e partecipato.

Giulio Di Dio, classe 1992, medico originario di Niscemi e residente a Catania, è tra i fondatori del Centro di Poesia Contemporanea di Catania. Dopo l’esordio nel 2018 con Trame del silenzio (Le Farfalle), ha visto i propri testi pubblicati su riviste e antologie di rilievo come ClanDestino, Contemporary Sicilian Poetry (Italica Press, 2023) e Dark Way of Sicily – Voci black (ilglomerulodisale, 2024), curata da Enzo Cannizzo. Sul nuovo volume, il poeta e critico Davide Rondoni ha scritto parole di apprezzamento, sottolineando la capacità dell’autore di fondere una lingua vibrante e simbolica con un’intensa riflessione spirituale.

Durante l’incontro termolese, Di Dio ha parlato con tono confidenziale e appassionato del nucleo ispiratore di Zammastra, un libro in cui la spiritualità diventa chiave di lettura del mondo, ma senza distacco o idealizzazione. «Della spiritualità – ha detto l’autore – forse è questo il tema più importante del libro. Ma non intendo la spiritualità come rifugio astratto o teologico: parlo di una fede quotidiana, che nasce dai gesti semplici, dai rituali domestici, dalle parole dei nostri nonni».

Una delle poesie più significative della raccolta si apre proprio con una frase della nonna dell’autore: “Sia fatta ogni giorno la sua santa volontà”. La stessa figura riappare anche nell’ultima sezione del libro, a testimonianza di un legame che attraversa tutta l’opera. «Mia nonna – ha spiegato Di Dio – pregava con convinzione, ma anche con ironia, con quel tipo di religiosità popolare che conosce bene chi vive nei piccoli centri del Sud. Poteva discutere con Dio, persino arrabbiarsi, ma sempre con la consapevolezza che nel dialogo, anche nel conflitto, c’è un legame profondo con il sacro».

Il poeta ha raccontato aneddoti familiari che restituiscono una dimensione intima e autentica della fede: «Mia nonna recitava il rosario per ogni occasione, anche per le più banali: la buona riuscita di un esame, di un concorso, persino di un solitario con le carte siciliane. Era la sua maniera di affidarsi, di cercare un segno. È un atteggiamento che mi ha sempre colpito, perché quella sua preghiera non era un atto di superstizione, ma una forma di comunicazione con il mistero».

Il tema del simbolo occupa un posto centrale nella riflessione dell’autore. «Il simbolo – ha detto – è un meccanismo che l’umanità usa da millenni: allo stesso tempo facilita e complica, perché ci obbliga a percorrere un cammino interiore per giungere al suo significato profondo. In fondo, il simbolo nasconde la verità perché noi possiamo cercarla». Di Dio ha citato come esempio Il Cantico dei Cantici, «un testo biblico che è insieme canto d’amore e poesia erotica, ma che nella tradizione è stato letto come allegoria del rapporto tra l’uomo e Dio».

L’idea del Dio che si nasconde per essere cercato è, per Di Dio, una delle metafore più potenti della spiritualità umana: «Come nel Cantico, anche nella vita Dio sembra nascondersi: ma è in quel nascondimento che nasce il desiderio, la ricerca, il bisogno di capire. E la poesia può diventare il luogo di questa ricerca».

Con Zammastra, il poeta siciliano tenta dunque di tradurre in versi questa tensione tra umano e divino, tra quotidiano e trascendente. «Io parto dagli oggetti, dalle immagini della vita di ogni giorno – ha detto – e attraverso il simbolo provo a restituire una dimensione spirituale, non come studio culturale, ma come esperienza viva, come desiderio di legame».

Il suo tono, spesso ironico, non nasconde la profondità del messaggio: «Quando mia nonna si arrabbiava con Dio – ha aggiunto sorridendo – non lo faceva per blasfemia, ma per amore. Era come un litigio con un familiare: un modo per dire “ci sei”, anche se non ti vedo».

In chiusura, Di Dio ha riflettuto sul senso del miracolo e sull’idea di Dio nella società contemporanea: «Io credo in un Dio che non fa saltare il banco, un Dio nascosto che non interviene con gesti eclatanti, ma che ci accompagna nella nostra capacità di adattarci e convivere con il mistero. Se non compie miracoli visibili, forse è perché ci chiede di cercarlo dentro di noi, nei dettagli più piccoli, nei segni che la vita ci offre».

L’incontro, seguito da un pubblico attento e partecipe, si è trasformato in un vero e proprio dialogo sulla parola poetica come strumento di conoscenza.

Emanuele Bracone