TERMOLI. Le luci si riflettono su volti tesi, preoccupati, ma decisi a non arrendersi. In prima fila ci sono operai, sindacalisti, esponenti politici e semplici cittadini: tutti uniti da un’unica domanda, che da mesi aleggia come un’eco amara nelle case del basso Molise. Che fine farà la Gigafactory Stellantis di Termoli?
A sollevare il velo su una vicenda divenuta ormai simbolo della crisi industriale italiana è stato il Partito Democratico, che ha organizzato un incontro pubblico per discutere la situazione del comparto automobilistico e il destino dello stabilimento termolese. Il senatore Michele Fina, tesoriere nazionale del PD, stasera a Salsedine, ha parlato con tono diretto, senza giri di parole: «L’Italia ha bisogno di una politica industriale vera, non di annunci. Il governo Meloni sta affrontando una transizione epocale con superficialità, cancellando la concertazione e tagliando i fondi al settore. È un approccio disattento e disordinato, che mette a rischio migliaia di posti di lavoro».
Un patrimonio industriale che si sgretola
La storia di Termoli è la storia del Molise moderno. Negli anni ’70, quando la Fiat aprì lo stabilimento motori, la regione più piccola d’Italia trovò la sua via all’industrializzazione. Oggi, dopo mezzo secolo, quel presidio produttivo è diventato il simbolo di un declino silenzioso.
A ricordarlo con forza è stato Oscar Scurti, segretario di federazione del Pd di Termoli, aprendo l’incontro: «Negli anni d’oro erano 3.600 i lavoratori. Oggi ne restano meno della metà, molti in solidarietà. Il piano industriale è stato rimandato, la Gigafactory sospesa, e l’incontro del 20 ottobre con Filosa non ha dato risposte. Non possiamo più aspettare».
Presenti tra tavolo e platea volti noti della politica molisana e abruzzese: Laura Venittelli, Vittorino Facciolla, Alessandra Salvatore, Ovidio Bontempo, Manuela Vigilante, il segretario Pd Abruzzo Daniele Marinelli e la vicesegretaria molisana Candida Stellato. Un fronte unito che ha voluto dare un segnale: il Molise non resterà a guardare mentre un pezzo di sé viene smantellato.
Fina: «Una crisi europea, ma il governo è immobile»
Il senatore Fina ha allargato lo sguardo oltre i confini regionali, descrivendo una crisi che tocca tutto il comparto automotive europeo: «Nel distretto di Atessa, in Abruzzo, abbiamo perso duemila posti di lavoro. Il calo produttivo è strutturale, non temporaneo. La transizione ecologica è inevitabile, ma va governata. Invece il governo ha scelto la via più comoda: tagliare i fondi e lasciare che siano le multinazionali a decidere».
Poi la denuncia: «Non si può proclamare la nascita di una Gigafactory da due miliardi di euro, di cui 400 milioni pubblici, e farne sparire ogni traccia. I fondi del Pnrr per l’automotive sono stati tagliati di quasi 4 miliardi. È un colpo di grazia per regioni come Abruzzo e Molise, che vivono di manifattura».
Il messaggio è chiaro: il Pd vuole riportare la vertenza Termoli a livello nazionale, portandola a Palazzo Chigi. «Serve una regia pubblica. Non è accettabile che l’Italia diventi solo un mercato di consumo. Dobbiamo tornare a produrre e a difendere chi lavora».
Le voci delle fabbriche: “Siamo stanchi di promesse”
Dopo gli interventi politici, il microfono passa ai rappresentanti sindacali. Nelle loro parole c’è meno diplomazia e più rabbia.
Francesco Guida (Uilm) riassume in pochi passaggi la situazione: «Filosa ha preso altri due mesi di tempo per decidere sul destino di Termoli. Intanto tutto si ferma. Le case automobilistiche europee sono obbligate a vendere un’auto elettrica per ogni auto a benzina, ma i consumatori non sono pronti, e noi paghiamo il prezzo di una transizione mal gestita. Il Governo ha tolto 400 milioni destinati al Molise: quei soldi devono tornare qui, o la Gigafactory resterà una cattedrale nel deserto».
Alfredo Fegatelli (Fiom-Cgil) sposta il discorso sulla scala nazionale: «In Italia, a parte Mirafiori, non c’è un solo stabilimento Stellantis con investimenti certi. L’azienda promette centralità, ma non mette un euro. Bisogna portare la vertenza a Palazzo Chigi, perché qui c’è di mezzo lo Stato francese, azionista di Stellantis. E mentre in America si investono miliardi, in Italia si smonta tutto».
Poi l’attacco diretto: «Non possiamo restare ostaggi di una sola azienda. Se Stellantis non investe, bisogna aprire ad altri produttori. Il Molise ha competenze e manodopera. Non possiamo morire aspettando decisioni prese a Parigi».
Marco Laviano (Fim-Cisl) parla con lucidità e amarezza: «Termoli è stata un’eccellenza della meccanica italiana. Oggi vive di ammortizzatori sociali. La Gigafactory doveva essere la svolta, ma è tutto fermo. Abbiamo perso prodotti, competenze e speranza».
Il sindacalista racconta la realtà quotidiana della fabbrica: «Ci sono 1.800 lavoratori, di cui 300 in cassa e 150 in trasferta. È una sopravvivenza, non un futuro. Servono scelte coraggiose, serve riportare i motori in Italia. L’ibrido può essere una via di salvezza, ma senza una strategia nazionale resterà solo un palliativo».
Laviano guarda oltre i confini: «Sono stato a Saragozza, in Spagna: lì il governo regionale ha investito con la Cina, ha creato infrastrutture e ha portato lavoro. Da noi invece si chiude e si promette. Termoli non deve diventare un nome da ricordare con nostalgia».
L’intervento più lungo è quello di Stefania Fantauzzi, operaia e rappresentante Usb, che con voce ferma ha raccontato la condizione di chi da mesi non entra in fabbrica: «Negli ultimi sei anni ho lavorato un anno e mezzo. Abbiamo chiuso reparti ancora produttivi, perso duemila posti di lavoro e ci sentiamo presi in giro. La Gigafactory è stata una beffa. Il Molise è diventato lo zimbello d’Italia».
Fantauzzi elenca i numeri della disfatta: «Dal 2013 abbiamo chiuso il reparto 8 valvole (900 posti), il cambio C510 (altre 900 unità), e il motore 1.6 (circa 500 lavoratori). Siamo rimasti in 1.200, di cui molti in trasferta forzata. La verità è che ci stanno svuotando».
Poi l’affondo politico: «I fondi pubblici non possono finire a un’azienda che licenzia. Servono vincoli, controllo, pianificazione. Bisogna riportare sotto controllo statale gli impianti strategici. Nazionalizzare non è una parolaccia: è l’unico modo per salvare il lavoro. E serve subito una legge contro le delocalizzazioni, perché ogni macchina che smontano qui è un pezzo di futuro che se ne va».
Non manca la denuncia sulla sicurezza: «Abbiamo scoperto che lo stabilimento è costruito in gran parte con materiali contenenti amianto. Abbiamo denunciato, ma tutto è stato secretato. Chiediamo trasparenza e tutele: la salute non è un privilegio».
Il grido degli operai: “Scendiamo in piazza”
Dalle ultime file, si alza la voce di Paolo Bettini, operaio e militante: «La Fiat non ha fatto del bene solo agli operai, ma a tutto il Molise. Se lo stabilimento chiude, muore un’intera economia fatta di bar, negozi, famiglie. Serve una grande manifestazione, coinvolgiamo tutti: la politica, i sindacati, i cittadini. Non possiamo restare a guardare».
“Una battaglia di civiltà”: le conclusioni di Facciolla e Fina
A chiudere il dibattito è Vittorino Facciolla, vicepresidente del Consiglio regionale del Molise: «Da troppo tempo non si parla più di Stellantis, e questo è inaccettabile. Il Partito Democratico non mollerà la presa. Difendere Termoli significa difendere il lavoro, la dignità e l’identità del Molise».
Poi, di nuovo, la parola al senatore Fina, che tira le somme con tono accorato:
«Non si possono annunciare due miliardi di investimenti e poi far finta di nulla. Il piano “Italia 2024” doveva segnare la rinascita industriale del Paese. Il governo deve chiedere conto a Stellantis e riportare la questione a livello nazionale. Non possiamo lasciare che un’intera area del Paese si spenga nel silenzio».
E aggiunge, con forza: «Questa non è una battaglia ideologica. È una battaglia di civiltà. Noi dobbiamo tornare a essere un grande partito del lavoro, vicino alle persone in carne e ossa. Non si tratta di parole, ma di scelte: investire, programmare, tutelare. È questo che chiedono le lavoratrici e i lavoratori di Termoli, ed è questo che l’Italia deve loro».
Oltre Termoli: una vertenza che parla al Paese
Quando le luci del Salsedine si spengono, resta un silenzio carico di domande. Le parole ascoltate — dure, sincere, spesso amare — raccontano di una vertenza che non è più solo molisana, ma nazionale.
Il destino della Stellantis di Termoli non riguarda un singolo stabilimento, ma un intero modello di sviluppo. L’Italia, stretta tra la transizione ecologica e la fuga delle multinazionali, deve decidere se restare spettatrice o tornare protagonista.
Dal piccolo Molise arriva un messaggio potente: non c’è più tempo per l’attesa. Le lavoratrici e i lavoratori di Termoli non chiedono assistenza, ma una visione. Chiedono che il futuro dell’automotive italiano — fatto di competenze, dignità e territorio — non venga sacrificato sull’altare dei profitti.



