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mercoledì 19 Novembre 2025
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Sebastiano Martelli e la centralità ritrovata di Francesco Jovine

GUARDIALFIERA. Sabato 28 ottobre 1972, ore 17. Sebastiano Martelli – allora giovane assistente di letteratura italiana all’Università di Salerno – è qui a farci dono del suo primo capo-lavoro letterario; ha per titolo solo un nome e un cognome: “Francesco Jovine” (…e basta, senza attributi); lo sfoglia e lo sfoggia nella luminosità d’un nuovo Edificio ancora odoroso di malta e di calcina. Sarà più tardi anch’esso dedicato allo stesso nostro romanziere ed educatore. La Sala è stracolma di concittadini e di ospiti venuti anche da provenienze remote.

Nello stesso giorno e alla stessa ora, Amintore Fanfani è a Termoli, invitato da Girolamo La Penna, il quale vuol riservargli l’onore d’ammirare e inaugurare l’ultimo Stabilimento realizzato dalla Fiat, quello che – man mano – si trasfigurerà in una leggenda di aggregazione e di lavoro, e in un patrimonio storico ed economico per la città adriatica e per l’intera nostra “cara patria comune”.

L’allora vescovo di Termoli-Larino, Pietro Santoro, dall’indole affabile e umile – tralascia quel giorno la sua presenza formale al “Pantano Basso” e giunge a sorpresa alle ore 17 a Guardia, per appagare (egli disse) la smania d’infondere fiducia e coraggio ad un giovane, a Sebastiano Martelli: simbolo della gioventù, ma pure d’un genio nascente allora, della cultura meridionale.

Intanto Nicola Perrazzelli, (intellettuale guardiense e magistrato a Genova) con parole balsamiche, esplora, durante il convegno, lo stimolante saggio di Martelli e – siccome c’è concomitanza con la visita di Fanfani, deraglia un po’ il suo dire e, adattandolo in quel 28 ottobre, profetizza, qui, l’inesorabile capovolgimento storico ed umano del Molise, da una plurisecolare povertà e civiltà contadina – cantata da Francesco Jovine – ad una evoluzione industriale. Mons. Santoro s’interpone. Altolà!  Dall’ultima fila, avanza fino alla Cattedra, frena la straripante enfasi, e se ne esce più o meno con questa locuzione: <Non abbandonate, cari figli, il lieto lavoro dei campi. Migliorate piuttosto la natura educando lo spirito al culto d’ogni cosa bella e santa. I “bulloni” son simboli – sì – di crescita economica. Ma non si mangiano! Guardialfiera ha bisogno di sfamarsi con “nutrimenti” nuovi. Questo popolo ha subìto il più atroce dei delitti, quello d’aver visto inabissato sotto 48 milioni di mc. d’acqua – assieme allo storico ponte d’Annibale – anche gli orti fra i più ubertosi e redditizi del Sud, e di aver messo in fuga per il mondo, centinaia di famiglie affamate che – da quei frutteti – avrebbero ancora potuto ricavare l’unica ma gradita sostanza di vita. Quel delitto – ahimè, siatene coscienti – quel delitto, rimarrà per sempre impunito>!

L’atmosfera d’una lontana sera d’autunno segna l’avventura formativa e ideologica di Sebastiano Martelli. S’invaghisce ancor più di Jovine, cavalca – con la sua penna inquieta – un trentennio di esplorazioni critiche, di poetica e di estetica. E, seppur studioso del Settecento illuminista, mai tralascia i motivi più significativi e vitali dell’uomo, e l’ansia di aderire alle pieghe nascoste della vita contemporanea.   

Di questi giorni, Su “Avvenire”, quotidiano dei Vescovi Italiani e su “Il Manifsto” – organo della Sinistra Politica italiana, cioè dall’una e dall’altra estremità di confronti e d’opinioni, e dal TG-Rai del Molise – trionfa l’unanime, argomentata e favorevole valutazione critica, riguardo all’ultima maestra letteraria di Sebastiano Martelli: la riscoperta e la riedizione di “Un uomo provvisorio”, opera prima joviniana del 1934.

Nella vita ordinaria siam facili a chiedere e un po’ meno a ringraziare. Siamo figli ingrati! Ma Cicerone arringava che la “gratitudine” è madre di tutte le virtù. Ora la esercitiamo porgendola a Sebastiano e a quanti si sono occupati di Jovine, con molisano affetto.

Vincenzo Di Sabato