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giovedì 30 Ottobre 2025
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Sanità pubblica 2020: transizione o solita transazione?

CAMPOBASSO. Il Ministro Speranza è incline a dichiarare che l’art. 32 Cost. (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo”) costituisca il ‘faro’ del suo programma. Però le vicende insegnano che l’impegno e la buona volontà di chi presiède non può essere sufficiente a risollevare le sorti della Sanità pubblica. Al presente la legge di bilancio intende utilizzare 2 miliardi in più per l’edilizia sanitaria e per l’ammodernamento tecnologico; ma l’importo rimane spalmato su 11 anni. Ciò posto, potrebbe essere l’autonomia differenziata uno strumento positivo? No di certo, a meno che lo Stato non si ponga nella condizione di aumentare le capacità di indirizzo e di verifica sugli Enti regionali, mettendo in campo meccanismi autentici di federalismo solidale.

Ove ciò continui a non verificarsi, l’ampiezza della forbice tra Nord e Sud sarà destinata ad aumentare. Nico Cartabellotta, Direttore di “Gimbe”, la fondazione che si occupa della organizzazione nel settore, ne ha analizzato i costi e le modalità di gestione; e ritiene che il nuovo “Patto per la salute”, firmato da Governo e Regioni, sia soltanto uno strumento anacronistico. L’arco triennale è troppo breve per consentire un’adeguata programmazione; anzi, alla luce della durata, quest’ultima dovrebbe coprire solo un percorso ad inciampi a causa della scadenza dei mandati elettorali. Infine, non essendo sottoposto ad alcun monitoraggio, il Piano avrebbe un impatto negativo sulla corretta gestione dei servizi. Ma non finisce qui perché la pattuizione in discorso mostra di essere solo un terreno di scontro politico tra Governo e Regioni. Il fatto è, dice Cartabellotta, che, da 20 anni in qua, tutti i Governi hanno sempre permesso ai partiti di involtolarsi nella ‘politica’ sanitaria, determinando interessi sottesi soprattutto alla gestione di provviste che rappresentano l’80% dei bilanci di un Ente sovraordinato.

Di contro, le Giunte non dovrebbero più nominare i Direttori generali delle Aziende o – in subordine – non prevedere la figura di un Commissario-Pgr
controllore di se stesso. In definitiva, occorrerebbe evitare che la politica sanitaria perseveri nel perseguire nomine fiduciarie dove, inevitabilmente, la fedeltà partitica finisca col prevalere sulle competenze, bene spesso inibendo persino l’emersione di posizioni attinte dai migliori tra i fedelissimi.

Una indagine sui Lea ha certificato l’esistenza di una ‘questione meridionale’ e l’inefficacia dei Piani di rientro che le Regioni avrebbero dovuto attuare. Tant’è vero questo che solo 11 Regioni raggiungono la soglia dei livelli di assistenza; e che tutte sono situate al Centro-nord, fatta eccezione per la Basilicata ed il Molise.
Ciò dimostra che, ove non si istauri un netto cambio di rotta tra Governo statale e decentrato, sarà impossibile ridurre le attuali diseguaglianze che, tra le tante disparità, provocano liste d’attesa troppo lunghe, peraltro aggravate dalla incapacità organizzativa delle singole Asl. Ad ogni buon conto, a tale proposito, occorre prendere atto che molte lamentele riguardano prestazioni inappropriate mentre occorrerebbe distinguere dai casi in cui il sistema non riesca a garantire (entro tempi congrui) una prestazione il cui ritardo danneggi la salute da quelle in cui l’involuzione consumistica porti a pretendere tutto e subito.

A parte questo, cresce la presenza degli operatori privati nella Sanità, pagati con soldi pubblici. In questo caso, finché il privato entri in gioco per supplire alle carenze pubbliche, si configurerebbe una corretta integrazione. Purtroppo i fatti documentano solo vivaci competizioni e – per conseguenza – risultano troppi gli investimenti dirottati verso il potenziamento del privato a discapito del pubblico. Naturalmente il primo è portato a selezionare patologie remunerative con il risultato di lasciare al pubblico solo i malati scarsamente redditizi. Di qui il lievitare delle prestazioni solo a fini di rimborso, ma senza una reale necessità clinica, ed il pendolarismo esasperato dei ‘camici’ che navigano tra pubblico e privato e tra Settentrione e Meridione.

Claudio de Luca