LARINO. V’è chi ha trascorso una vita sui libri e chi preferisce diffondere i propri pensieri dalle pagine di una testata locale. Il vostro cronista ha creduto che fosse inopportuno mantenersi isolato, perché è sempre più giovevole comunicare. E così, spintosi sino a varcare la grotta dei suoi pensieri, ha voluto mettersi a disposizione di chi vorrà conoscerli, confidando di potere entrare in una proficua comunione di sentimenti per lo meno con qualcuno. Faccio questo per l’amore che porto ad una regione in cui ho vissuto gran parte della vita, godendo di un territorio che parrebbe essere poco noto persino ai suoi figli migliori. Il Molise è una Patria più piccola; e, poiché ritengo che questa parola debba camminarci sul cuore, oso pronunciarla non importandomi se altri, di gran lunga più provveduti, avessero ad irridermi. Ma la piccola Patria non può essere solo questo.
Essa “convoca” ma dovrebbe pure “dare” per il tràmite di chi la rappresenti, facendosi riconoscere ben oltre i benefici di commozione che offre ed i sentimenti che suscita; ed il conforto del racconto delle sue memorie non può essere sufficiente a coprire ciò che non viene concesso dalla Politica politicante. Alludiamo alla carenza di “benefit” sociali (e di servizi in genere) ed al non corretto rispetto del “bene comune”. I dati economici e sociali hanno sempre delineato un’economia stagnante, per lo più tenuta a galla dalla spesa pubblica, con una bassa partecipazione alla forza-lavoro (in cui le donne hanno solo un ruolo secondario).
Quella “pro-capite” delle Amministrazioni statali e locali, al netto degli interessi, lievitò di 1/4 solo dal 2003-‘05 in poi; ma, tra il 2002 ed il 2011, vi fu una triplicazione del debito. La natura clientelare di una massa di danaro pubblico venne posta in evidenza dalla concentrazione della spesa nel settore sanitario e dalla scarsità degli investimenti. Il grosso dell’occupazione è operativo nei servizi, come sarebbe normale in un’economia avanzata; ma qui la quota di impiego pubblico è stata abnorme ed è calata solo di recente. Le poche imprese private hanno una redditività prossima allo “0” nelle annate “buone”; ma, solitamente, distruggono valore, mostrando livelli di indebitamento in crescita pressoché costante che – negli ultimi anni – hanno determinato sofferenze sempre maggiori, pure perché il settore bancario pratica tassi sproporzionatamente alti rispetto al costo delle provviste richieste. La base produttiva si è erosa nei settori industriali, confortata solo da forme di assistenza. Gli imprenditori patiscono, temendo il peggio e gli investimenti non ne riescono stimolati.
A questo punto, ritengo doveroso rendere al paziente lettore un’altra pubblica confessione. Tutto ciò che ci delizia del passato (musica, poesia, pittura, scultura) venne concepito nel freddo. I contemporanei dei “Grandi” ci hanno tramandato: che Francesco Petrarca si svegliasse nel gelo della sua cameretta, magari solo per correggere un verso delle sue rime; che, morendo, lasciò all’amico Boccaccio una veste di lana in cui involtolarsi nel corso delle sue tante veglie. Pure Giovambattista Vico ha studiato in una casa del Cilento innevata per molti mesi ogni anno. Giuseppe Parini ha scritto le sue “Odi” in una fredda soffitta; Bach, Scarlatti, Mozart e Vivaldi componevano con le estremità poggiate su di uno scaldino; calzavano i mezzi guanti alle mani e tenevano una coperta a protezione delle spalle. In definitiva, tutto quanto ci è pervenuto di buono e di grande dal passato ha potuto vedere la luce grazie ai patimenti inferti dal freddo nel corso della crudezza dei lunghi inverni di una volta. Ebbene, per quanto mi concerne, vivendo in tempi più moderni, non ho potuto fruire degli “aiutini” somministrati dal freddo. Perciò, a fronte dei “Grandi” che ho nominato, permettetemi almeno di scusarmi: ove, a lettura esaurita, ciò che ho scritto non dovesse esservi piaciuto, incolpatemi solo per il 50%. La rimanente aliquota di insuccesso va necessariamente addebitata all’intervento del riscaldamento centrale di cui ho potuto fruire durante i miei odierni esercizi di scrittura, indirizzandomi alla presente ‘svalutazione’ del tessuto regionale.
Claudio de Luca
