Di Claudio de Luca TERMOLI. Antonio Di Pietro non ha mai “perso” una causa, ma stavolta gli è andata buca perché il Tribunale di Roma ha deciso negativamente sulle sue pretese. L’ex-Pm si era ritenuto diffamato da “Libero” e da Filippo Facci in un articolo intitolato “Italia dei doppi valori. Tonino, contro i rimborsi elettorale (che prende dal 1988), si batte ufficialmente contro i soldi della politica ma, ufficiosamente, li incassa, come ha sempre fatto con la trasparenza di una notte antartica“. La pretesa era stata: 200mila euro come risarcimento danni e 50 mila a titolo di pena pecuniaria. Ma il Giudice ha respinto la domanda, sentenziando:” Il pezzo è critico, ma i suoi contenuti sono scriminati dall’esercizio del diritto di critica politica, trattandosi di un caso di libera manifestazione del pensiero. Come tale il diritto non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione dei fatti, ma si esprime in un giudizio o un’opinione, che, come tale, non può essere rigorosamente obiettiva”. E così Di Pietro è stato condannato a rifondere ai convenuti le spese di lite, liquidate in 4.500 euro per compensi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Di Pietro non è uscito mai sconfitto in alcun Tribunale. Una volta ci fu un “non luogo a procedere” per l’accusa di concussione generata dall’inchiesta-Gico di Firenze quando, a metterlo sulla graticola, furono le sue relazioni con l’avv. Giuseppe Lucibello e con l’amico costruttore Antonio D’Adamo che, a loro volta, intrattenevano affari con il finanziere Pacini-Battaglia. La rilevanza penale dell’intreccio era pari a zero: ma, poiché le personalità pubbliche non si giudicano solo dagli esiti del Casellario giudiziale, l’alone che gravava su alcuni punti della biografia nocque non poco all’ex-Magistrato. “Vogliono infangare Mani pulite!”, fu il suo “tormentone”, reiterato pure quando fu formulata l’ipotesi di suoi presunti legami con i Servizi segreti italiani e americani. Però i silenzi non aiutano e non gli furono di vantaggio manco certe dimenticanze sui viaggi americani, tipo quello fatto in compagnia dell’ex amico Mario Di Domenico. Quando fu pubblicata una foto che lo ritraeva con Bruno Contrada, ex-dirigente Sisde, il “Corriere della sera” lo invitò a un confronto sul tema. Ma Di Pietro non se ne diede per inteso, offrendo altra legna da ardere a chi sosteneva l’inverosimile tesi che “Mani pulite” fosse stata guidata dall’” intelligence” Usa. In altre occasioni sostenne che i suoi “impicci” erano il frutto dei rancori di vecchi amici; ma certi compagni di viaggio se li era scelti lui. Con Elio Veltri ebbe una “querelle” sui rimborsi elettorali delle Europee; e fu accusato di averli gestiti in modo alquanto privatistico. Altri lo descrissero come un soggetto che avrebbe fatto un uso “non associativo” dei soldi del suo ex-Partito; e la cosa originò illazioni su di una presunta passione immobiliare di Tonino, con proprietà acquisite da Curno sino alla Bulgaria. Pure in questo caso, quei comportamenti prestarono il fianco alle critiche di chi affermava che il paladino della questione morale avrebbe dovuto agire con meno disinvoltura, se non altro per evitare accuse relative a presunti interessi privati. Un altro “vecchio amico” del Molisano, Paolo Flore D’Arcais, sostenne cose poco piacevoli nel 2009, trattando dell’” impresentabile” Sergio De Gregorio, scelto come capolista in Campania per le politiche del 2006, del suo voltafaccia e del passaggio formale al Centrodestra. In 40 pagine venne fatta una radiografia completa sulla vena (definita “inciucista e politicante”) che permeava l’Idv dell’ex-Pm, facendo nomi e cognomi di tutti i riciclati presi a bordo: dai transfughi dell’Udeur a quelli di Forza Italia, passando per il campano Nello Formisano “che, insieme all’ex dc potentino Felice Belisario, riempì il partito di faccendieri e di arrivisti, in larga misura di provenienza democristiana”. All’inizio del 2009, il suo nome spuntò nell’inchiesta “Global service”, il mega appalto dei servizi pubblici. Tra gli altri, era stato arrestato Mario Mautone, Provveditore alle Op.pp. della Campania e del Molise che Di Pietro aveva chiamato al Ministero delle infrastrutture. Numerose intercettazioni allegate agli atti dimostrarono come il suo primogenito Cristiano, allora consigliere provinciale (oggi regionale) a Campobasso, avesse tentato – tramite Mautone – di sistemare gli amici. Ma Di Pietro scrisse un memoriale che zittì voci e sussurri e rimasero solo le accuse di familismo spinto.