TERMOLI. “Nulla a pretendere”, “conciliazione con i lavoratori” e “promesse d’inclusione lavorativa per i prossimi tre anni”. Insomma, il lieto fine della chiusura di Piazza Italia al centro commerciale San Nicola di Termoli non sembra proprio la verità. Ciò lo si deduce dalle dichiarazioni di una ex dipendente che, chiestoci l’anonimato, documenti alla mano ci ha manifestato tutta la sua incredulità per quanto sta vivendo da quasi tre mesi a questa parte. Ricostruire la faccenda è partire dalla chiusura dell’attività commerciale di abbigliamento, avvenuta “in poco tempo” e comunicata agli stessi lavoratori “con pochi giorni di anticipo rispetto alla cessazione delle attività lavorative”. Di lì, l’inizio alla corsa sindacale per assicurare la massima tutela alle dodici dipendenti del negozio e così, l’impegno del sindacato competente ha intermediato “al meglio” con l’azienda consentendo a tutte (per certi versi) di non perdere il lavoro. “Lieto fine”, qualcuno direbbe, e invece si tratta solo di qualche punto di vista perché in realtà “non è tutto rose e fiori”. Alle dodici (ex) dipendenti, infatti, è stata proposta la sottoscrizione di un documento, una sorta di “licenziamento consensuale”, che avrebbe consentito nel contempo l’accesso agli ammortizzatori, la priorità d’assunzione qualora, nei prossimi anni, sarebbe stato riaperto un punto vendita e una sorta di “nulla a pretendere”, alla luce delle promesse, svincolante l’azienda da ogni eventuale “causa di servizio” da parte dell’ex dipendente. La precedente situazione, a onor di cronaca, ha avuto a verificarsi a seguito della chiusura dell’azienda che avrebbe imposto alle dipendenti (al fine di tutelarne il lavoro) trasferimenti in altri punti vendita presso Avezzano e Chieti. Ciò ha fatto storcere il naso non poco alle stesse lavoratrici sia perché esistono punti vendita più vicini (vedi San Salvo e Montenero di Bisaccia), sia perché il tutto è parso quasi come “l’invito all’autonomo licenziamento”, almeno stando a quanto denunciato dalla dipendente che conferma il suo “essere lavoratrice per l’azienda da oltre un decennio”. Ad oggi, delle dodici dipendenti cinque avrebbero accettato la clausola, quattro sarebbero in forza al punto vendita di Avezzano, una a Chieti, una a Rimini e una in Toscana (per scelta propria). “Ho un contratto part time – denuncia la lavoratrice – e percepisco circa 800 euro al mese, non posso pensare di muovermi tutti i giorni con un mezzo proprio ad Avezzano soprattutto considerando l’inesistenza di mezzi pubblici e spese superiori alle cinquanta euro quotidiane solo per gli spostamenti”. Lavoro e lavoratori tutelati? Decidete voi.