TERMOLI. «Tre anni di Città invisibile». Gli attivisti del centro diurno promosso con l’associazione Faced traggono il bilancio di questo periodo così intenso, vissuto a cavallo del Covid e segnato anche da tragedie, come quelle di Pozzo Dolce.
«Giusto tre anni fa, tra fine giugno e inizio luglio 2021, in un’estate come questa, ci arrivò a freddo la notizia che avremmo dovuto lasciare in pochissimo tempo lo spazio di piazza Olimpia che ospitava da più di due anni le attività del nostro centro diurno.
Quei locali per noi erano diventati un po’ casa. Aperto anche durante tutta la pandemia per offrire un luogo di socialità e ristoro, quel luogo ha accolto tante vite, storie, volti, pianti e risate. Lì abbiamo cominciato a imparare – spesso facendo anche tanti errori – le basi del lavoro con le persone senza dimora, dello stare, dell’ascoltare, abbiamo imparato a non giudicare e a non imporre agli altri il cambiamento che noi desideriamo. Lì sono nate relazioni che durano ancora oggi, con persone che dalla strada poi sono arrivate ad essere nostri collaboratori ed amici. Lì hanno trovato spazio e accoglienza persone in viaggio da altri continenti, spesso solo di passaggio, come di passaggio sono stati Roberto, Paolo, Angiolino, e altri che da allora in strada hanno perso la vita.
Ma quel luogo era diventato anche altro, un punto di incontro, uno spazio di elaborazione collettiva, sede di tanti incontri, presentazioni di libri, film, dibattiti, assemblee, performance artistiche, cene conviviali… un presidio comunitario, un catalizzatore di altre esperienze e processi, e non perché gestito da noi, ma perché rispondeva a un bisogno diffuso di un pezzo di città, che raramente trova spazio. Proprio in quei giorni, ancor prima di sapere dello sgombero, avevamo organizzato delle giornate di condivisione, con assemblee, incontri e momenti conviviali aperti a tutte e tutti gli abitanti.
Quella notizia ci spiazzò, non eravamo pronti a lasciare quel luogo senza un’alternativa, senza una discussione pubblica. Approfittammo allora di quella occasione per aprire uno spazio di riflessione ampio non solo sul nostro futuro come servizio, non solo sul futuro di quel luogo, ma sul senso dei cambiamenti che la nostra città stava vivendo. Decine di persone parteciparono alle assemblee, e lanciammo una petizione raccolse in poco tempo un migliaio di firme.
Ci mandarono via da lì perché la struttura doveva subire dei lavori di ristrutturazione per diventare un «museo del Mare». Quel museo lì non si è mai fatto. Quegli spazi da allora sono rimasti vuoti e silenziosi, un contrasto stridente con la vita pulsante che lo aveva animato in quegli anni brevi ma densi. In compenso, la zona intorno è stata «riqualificata», sono sorte villette «luxury» con piscina vista mare, e le persone che vivevano nei paraggi in un riparo di fortuna sono state gentilmente invitate a cambiare zona dalla forza pubblica.
“La città invisibile”, quella che insieme a tante altre persone e realtà cercavamo di rendere più visibile, tornava a fare un passo indietro verso la marginalità. Da allora il servizio di centro diurno a bassa soglia non ha più trovato spazio in locali pubblici, fino a quando non è tornato a «casa», in una struttura comunale in comodato alla Fa.c.ed. (nostra associazione «madre»), presso la Comunità il Noce. La distanza dal centro città e dai luoghi di riferimento di chi è senza dimora ha reso più difficile alle persone raggiungerci, e ha imposto un ripensamento delle attività. Le presenze sono notevolmente calate (anche se riusciamo ancora ad agganciare persone nuove, e a mantenere le relazioni già create). Da allora poi, anche a causa di questa precarietà, è stato molto più difficile organizzare momenti e spazi di informazione, incontro e socialità.
Da allora abbiamo visto la città trasformarsi ulteriormente, il cemento ha ricoperto nuove aree, nuove palazzine e centri commerciali sono sorti qua e là. Ma per chi? Per i turisti che pagano 800-1000 euro a settimana in estate, per chi può permettersi di comprare casa a 1700 euro al metro quadro, o di pagare un bilocale 600-700 euro al mese… E gli altri? Il resto della città? Le case popolari non sono aumentate, anzi. I posti in dormitorio per accoglienze transitorie non sono aumentati, anzi, diventa sempre più difficile accedervi (al momento dormono in strada almeno due donne con figli, sotto gli occhi di tutti). I dati sugli sfratti sono allarmanti, e tanto disagio abitativo rimane sommerso, neanche fa statistica.
Sapevamo che lo sgombero di piazza Olimpia non riguardava solo noi. In fondo, il nostro è semplicemente un servizio che può trovare spazio anche altrove e continuare lo stesso. No, in ballo c’era – allora come oggi – il presente e il futuro di questa città. Quando avanzano privatizzazione e speculazione gli spazi pubblici e sociali perdono terreno. Quando prevalgono gli interessi di pochi si marginalizzano i bisogni e i desideri dei molti. Quando si alza un muro – come diceva quel murale in piazza Olimpia, che oggi è stato cancellato – c’è sempre qualcuno o qualcosa che resta fuori».


